LEONARDO DA VINCI - ORENO E IL LIBRO DELL'AMADIO

Il libro che segue, ci permette di cogliere i legami e i misteri legati alle figure di due giganti del periodo Rinascimentale, ovvero: il Maestro Leonardo Da Vinci e il frate (beato) Amedeo Menezes De Y Silva e il loro rapporto con Oreno oggi frazione del Comune di Vimercate. Due date avvicinano Leonardo Da Vinci ad Oreno: il 1482 e il 1490. Nel 1482 Leonardo Da Vinci allontanarsi da Firenze, viene mandato dall’amico Lorenzo De Medici, in esilio protetto (perché aveva subito 2 processi la cui pena era il rogo, pur uscendone indenne), presso la corte di Ludovico Il Moro a Milano nel Ducato sforzesco, ove viene alloggiato presso lo studiolo di 2 pittori di corte, i fratelli De Predis, presso l’Arengario. Il 1482 è anche l’anno che vede un’altra figura straordinaria, a noi oggi poco conosciuta, ma allora famosissima, allontanarsi da Roma e rientrare alla Corte Sforzesca: ovvero il frate (beato) Amedeo Menezes De Y Silva. Egli è un frate francescano, padre fondatore di una congregazione chiamata degli amadeiti che mosse i primi passi ad Oreno, proprio nel convento di San Francesco, quando nel 1458 Amedeo venne mandato da Francesco Sforza a ricrearne lo spirito francescano. Da qui la congregazione ebbe una diffusione inarrestabile, uscendo ben presto da Oreno e dai confini del Ducato per diffondersi in moltissime zone dell’Italia rinascimentale. Egli è l’autore di un libro che ha scritto quando era confessore e consigliere stretto di Sisto IV, il pontefice della cappella sistina, libro intitolato “L’Apocalypsis nova”, un opera al limite dell’eresia, che secondo Elli potrebbe avere influenzato il pensiero di Leonardo. Correva l’anno 1490, quando Leonardo da Vinci, ormai consolidato artista di palazzo, riceve da Ludovico il Moro l’incarico di realizzare un gruppo scultoreo equestre in onore del padre Francesco Sforza, morto qualche anno prima. Il monumento avrebbe dovuto superare in dimensione e bellezza ogni altra opera fin qui conosciuta. Il fiorentino sapeva che se non avesse trovato come modello il cavallo adatto con la sua possenza ad esaltare la figura del cavaliere, avrebbe rischiato di deludere le aspettative del suo committente. Dopo aver setacciato tutte le stalle ducali e della Corte di Milano senza risultato, venne indirizzato da conoscenti di corte presso il borgo di Oreno, dove esisteva un allevamento di cavalli tra i più rinomati del Ducato, ospite dalla nobile famiglia dei Dela Padela che aveva la corte da massaro proprio vicino alla casa della famiglia Caprotti, molto probabilmente lì conosce Gian Giacomo, figlio di 10 anni di Gian Pietro Caprotti e Caterina Scotti. Fu un colpo di fulmine, forse la felicità di aver trovato finalmente il cavallo adatto all’opera commissionata, o la bellezza impressionante del ragazzino, spinsero Leonardo a concedere alla famiglia Caprotti di prendere in affidamento il loro figliolo presso la sua scuola a Milano. L’indagine condotta da Elli è di notevole pregio storico e ci permette di esplorare i conflitti emersi in quel tempo tra diversi ordini religiosi e di riscoprire le idee di un frate “eretico” per i suoi tempi, ma il cui pensiero è ancora attuale, talmente fuori dagli schemi che può avere influenzato anche Leonardo Da Vinci e ispirato il quadro “La Vergine delle rocce”. Tale legame andrebbe comunque approfondito, perché ipotizzo che su entrambe le figure possano avere avuto presa anche le idee dei catari (vedi e-book: Viaggio nei misteri della Brianza Templare e esoterica di Massimo Colangelo, su Amazon Kindle). Ricordiamo che la città confinante di Concorezzo fu, infatti, qualche secolo prima, la sede del Vescovo italiano dei patari e che a Vimercate vi furono molte case degli “Umiliati”, le cui idee non erano poi lontane dal pensiero di Amadeo e pare abbiano influenzato anche la rappresentazione del cenacolo Leonardesco e sembra quindi che un unico filo conduttore leghi le due figure. Buona lettura. Si ringrazia Giuseppe Aragosa per alcune traduzioni dal latino. M. Colangelo

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