Il Mediterraneo era il mio regno: Memorie di un aristocratico siciliano

A Palermo, nel maestoso palazzo Villafranca dov’è conservata la Crocifissione di Van Dyck, è nato
e cresciuto l’ultimo superstite della nobiltà siciliana: il suo nome è Francesco Alliatae, a novantacinque
anni, è «più vivo e più forte che pria», come avrebbe detto Petrolini.
La sua storia non ha niente a che vedere con gli eccessi sfarzosi dei Savoia o con l’ossessione dei Colonna
nei confronti della religione. Sin da giovane, Francesco non è tipo dedito alle neghittosità e allo «sperpero di patrimoni
in futili attività» che Tomasi di Lampedusa descriveva nel Gattopardo. Vuole prima costruirsi, sulle orme di una madre
formidabile, «una solida cultura e una ancor più solida educazione» e poi usarle entrambe per rendere produttive le proprie passioni.
Solo così onorerà il motto di famiglia: «Bisogna essere principi, piuttosto che apparirlo».
È ancora un bambino quando si imbarca nella sua prima impresa «ciclopica»: correggere 7500 pagine di bozze dell’opera fondamentale
del nonno – Storia dei feudi e dei titoli nobiliari di Sicilia – che lo trasformeranno nell’«amanuense a macchina» di famiglia. A undici anni
ha una stanza tutta sua per muoversi autonomamente tra gli archivi del palazzo. A tredici si appassiona di storia antica, incuriosito dai racconti
del secondo marito della madre, il direttore del Museo Archeologico di Palermo, Ettore Gabrici. Ma al ginnasio Francesco scoprirà di essere
«nato con la pellicola cinematografica attorcigliata al collo», un talento che lo accompagnerà per il resto della vita.
Con la visione di Ombre rosse di John Ford e dei capolavori di Charlie Chaplin, il principe avverte la necessità di osservare la realtà da vicino
per poi, una volta compresa, tentare di riprodurla. Ecco perché, chiamato a servire la patria, fa richiesta allo Stato Maggiore del Regio Esercito
di poter creare un Fotocinereparto per documentare le fasi della guerra. Sarà lui ad essere inviato a Palermo a fotografare i bombardamenti delle
«fortezze volanti americane». Finita la guerra, si dedica all’esplorazione del mare o, meglio, dei suoi segreti. Ed ecco i documentari girati nelle
isole Eolie – le prime riprese subacquee al mondo – e la fondazione nel 1946 della Panaria Film: la casa cinematografica che produrrà, tanto per
citarne alcuni, La carrozza d’oro di Jean Renoir e Vulcano con Anna Magnani. Fino al giorno in cui, spiazzando tutti ancora una volta, decide di
abbandonare il cinema per buttarsi nella produzione dei sorbetti e delle granite tradizionali, con lo storico marchio di famiglia, Duca di Salaparuta.
Ma questo non è solo un viaggio unico, incomparabile, in compagnia dell’ultimo grande aristocratico del Novecento. È anche l’avvincente cronaca
di anni di battaglie da lui condotte in prima persona quale “prigioniero politico della burocrazia” contro le forze più oscure che, dallo sbarco alleato
in poi, hanno soffocato ogni slancio imprenditoriale e culturale in Sicilia, cuore strategico del Mediterraneo.

«Ero convinto che la Sicilia fosse la terra delle potenzialità inesplorate e che il mio compito,
la mia vocazione, il mio destino fossero di farle emergere».

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