La cuoca di d'Annunzio: I biglietti del Vate a "Suor Intingola". Cibi, menù, desideri e inappetenze al Vittoriale
- Autore
- Maddalena Santeroni
- Editore
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- Pubblicazione
- 12/05/2015
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Per quasi vent’anni Gabriele d’Annunzio comunicò con la sua cuoca per mezzo di una miriade di piccoli biglietti, inviati a ogni ora del giorno e della notte. Messaggi maliziosi, coloriti e affettuosi, indirizzati da d’Annunzio (o meglio dal “Padre Priore”, come spesso il poeta, nell’insolita corrispondenza, amava firmarsi) alla fedelissima Albina Lucarelli Becevello, alias “Suor Intingola”: l’unica donna con cui d’Annunzio visse in assoluta sintonia – e castità – dagli anni veneziani al buen retiro finale nello splendido Vittoriale di Gardone Riviera.
Sono decine e decine i biglietti per Albina a cui il Vate ha affidato, in ogni momento della giornata, le sue imprevedibili richieste culinarie: costolette di vitello e frittata, cannelloni e patatine fritte, pernice fredda, biscotti e cioccolata, ma soprattutto uova sode, sicuramente l’alimento preferito da d’Annunzio, che ne andava così ghiotto da paragonarne gli effetti a quelli di una “estasi divina”.
Salutista attentissimo alla forma fisica, oltre che raffinato gourmet – molto interessato alla genuinità e alla freschezza delle materie prime, ma anche a valorizzare, con intuizione estremamente moderna, i prodotti locali – d’Annunzio alternava infatti giorni di digiuno quasi completo a scorpacciate disordinate e compulsive, spesso provocate dall’arrivo di qualche amante. Erano quelli i momenti in cui il poeta si sbizzarriva maggiormente in dettagliate disposizioni culinarie, con modi ora scherzosi e poetici ora più perentori, indirizzate alla fidata “Suor Intingola”, sempre pronta a preparare sul momento elaborati menù in cui eros e cibo si combinavano in un sodalizio perfetto: ricette sorprendenti, accostamenti sontuosi e ricercati, inventivi abbinamenti anche cromatici.
A casa d’Annunzio perfino il cibo infatti «diventava fonte di piacere, di coinvolgimento emotivo, di seduzione, di bellezza», come scrive Giordano Bruno Guerri, presidente del Vittoriale degli Italiani, nelle prime pagine di questo libro “saporito”, ricco e composito quanto una tavola imbandita, che, con vero spirito dannunziano, può essere letto anche come un originalissimo manuale di seduzione culinaria.
Sono decine e decine i biglietti per Albina a cui il Vate ha affidato, in ogni momento della giornata, le sue imprevedibili richieste culinarie: costolette di vitello e frittata, cannelloni e patatine fritte, pernice fredda, biscotti e cioccolata, ma soprattutto uova sode, sicuramente l’alimento preferito da d’Annunzio, che ne andava così ghiotto da paragonarne gli effetti a quelli di una “estasi divina”.
Salutista attentissimo alla forma fisica, oltre che raffinato gourmet – molto interessato alla genuinità e alla freschezza delle materie prime, ma anche a valorizzare, con intuizione estremamente moderna, i prodotti locali – d’Annunzio alternava infatti giorni di digiuno quasi completo a scorpacciate disordinate e compulsive, spesso provocate dall’arrivo di qualche amante. Erano quelli i momenti in cui il poeta si sbizzarriva maggiormente in dettagliate disposizioni culinarie, con modi ora scherzosi e poetici ora più perentori, indirizzate alla fidata “Suor Intingola”, sempre pronta a preparare sul momento elaborati menù in cui eros e cibo si combinavano in un sodalizio perfetto: ricette sorprendenti, accostamenti sontuosi e ricercati, inventivi abbinamenti anche cromatici.
A casa d’Annunzio perfino il cibo infatti «diventava fonte di piacere, di coinvolgimento emotivo, di seduzione, di bellezza», come scrive Giordano Bruno Guerri, presidente del Vittoriale degli Italiani, nelle prime pagine di questo libro “saporito”, ricco e composito quanto una tavola imbandita, che, con vero spirito dannunziano, può essere letto anche come un originalissimo manuale di seduzione culinaria.
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