Memorie di una principessa etiope
- Autore
- Martha Nasibù
- Editore
- Neri Pozza
- Pubblicazione
- 15/04/2015
- Categorie
Agli inizi degli anni Trenta del secolo scorso il ghebì, il palazzo del nobile Nasibù Zamanuel, svetta sontuoso nel centro di Addis Abeba. Circondato da un parco di cinquantamila metri quadrati, con alberi di alto fusto e piante ornamentali fatte giungere da ogni parte del mondo, il ghebì è composto da un’infinità di camere elegantemente arredate con mobili in stile Luigi XVI e Chippendale, porcellane di Sèvres, immensi arazzi di Beauvais. Ottanta tra maggiordomi, domestici, cuochi e giardinieri provvedono alla cura della casa, sotto lo sguardo vigile del degiac Nasibù, bello come un dio con i suoi 185 centimetri di statura, il fisico da atleta, il volto attraente e sereno, le sgargianti divise da generale.
Nella vita del degiac tutto sembra tingersi di prodigioso e fiabesco: da come ha impalmato la giovanissima Atzede Mariam Babitcheff dopo una gara sfrenata nell’ippodromo di Janehoymeda alla presenza del reggente, ras Tafari Makonnen, a come l’ha condotta in pellegrinaggio in cima al monte Managhescià, dove il santo eremita abba Wolde Mariam ha predetto alla sposa la nascita di ben cinque figli.
Un giorno di ottobre del 1935, tuttavia, la bella fiaba termina bruscamente. Per ordine di Benito Mussolini, le forze armate italiane invadono l’Etiopia da nord al sud, senza alcuna dichiarazione di guerra.
Il degiac Nasibù combatte valorosamente per difendere la sua civiltà, quell’antica civiltà copto-ortodossa che fa dell’Etiopia una terra cristiana nel cuore dell’Africa. Le forze sono però troppo impari, e il conflitto segna la fine dell’impero etiopico e dello splendore dei Nasibù.
Il 21 giugno del 1936 Ivan Babitcheff, suocero di Nasibù, viene arrestato. Il 19 ottobre, il degiac si spegne in una clinica di Davos. Nei mesi successivi tutti i Nasibù sono costretti all’esilio.
A più di sessant’anni dagli avvenimenti, Martha Nasibù, figlia del degiac, racconta l’incredibile vicenda della sua famiglia esiliata in Italia sul finire del 1936 e tenuta al confino sino all’agosto del 1944. Otto anni di esilio nei luoghi di «villeggiatura» di Mussolini. Otto anni di esilio per la sola colpa di essere moglie e figli del degiac Nasibù Zamanuel, che si era comportato in guerra con estrema correttezza, non certo ricambiata dal viceré Rodolfo Graziani. Preziosa testimonianza storica, il libro illumina il mondo dell’aristocrazia etopica «in bilico fra le suggestive eredità del feudalesimo e le forti aspirazioni alla modernità» (Angelo Del Boca).
«Un libro meraviglioso che ha il grande pregio di condurci in un mondo del tutto sconosciuto a noi occidentali, quello complesso dell’aristocrazia etiopica degli anni Venti e Trenta».
Angelo Del Boca
«La principessa e i carnefici... Una cronaca in presa diretta di avvenimenti storici avvolti in un dramma».
Nello Ajello, La Repubblica
«Un libro bellissimo della figlia di uno dei grandi dignitari dell’imperatore d’Etiopia».
Giorgio Boatti, La Stampa
«L’Etiopia aristocratica del primo Novecento sopraffatta dalla feroce colonizzazione fascista».
Il Messaggero
«Suo padre era un nobile partigiano che si era battuto contro l’invasione fascista dell’Etiopia... lo racconta Martha Nasibù nel suo bel romanzo autobiografico».
La Nazione
«Martha Nasibù è una delle tante scrittrici africane che, negli ultimi anni, si sono date il compito di ricostruire un passato nutrito di storia orale, mettendo su carta quella parte di storia che non compare nei libri ufficiali. Lo ha fatto in maniera suggestiva, poetica e insieme puntuale».
Left
Nella vita del degiac tutto sembra tingersi di prodigioso e fiabesco: da come ha impalmato la giovanissima Atzede Mariam Babitcheff dopo una gara sfrenata nell’ippodromo di Janehoymeda alla presenza del reggente, ras Tafari Makonnen, a come l’ha condotta in pellegrinaggio in cima al monte Managhescià, dove il santo eremita abba Wolde Mariam ha predetto alla sposa la nascita di ben cinque figli.
Un giorno di ottobre del 1935, tuttavia, la bella fiaba termina bruscamente. Per ordine di Benito Mussolini, le forze armate italiane invadono l’Etiopia da nord al sud, senza alcuna dichiarazione di guerra.
Il degiac Nasibù combatte valorosamente per difendere la sua civiltà, quell’antica civiltà copto-ortodossa che fa dell’Etiopia una terra cristiana nel cuore dell’Africa. Le forze sono però troppo impari, e il conflitto segna la fine dell’impero etiopico e dello splendore dei Nasibù.
Il 21 giugno del 1936 Ivan Babitcheff, suocero di Nasibù, viene arrestato. Il 19 ottobre, il degiac si spegne in una clinica di Davos. Nei mesi successivi tutti i Nasibù sono costretti all’esilio.
A più di sessant’anni dagli avvenimenti, Martha Nasibù, figlia del degiac, racconta l’incredibile vicenda della sua famiglia esiliata in Italia sul finire del 1936 e tenuta al confino sino all’agosto del 1944. Otto anni di esilio nei luoghi di «villeggiatura» di Mussolini. Otto anni di esilio per la sola colpa di essere moglie e figli del degiac Nasibù Zamanuel, che si era comportato in guerra con estrema correttezza, non certo ricambiata dal viceré Rodolfo Graziani. Preziosa testimonianza storica, il libro illumina il mondo dell’aristocrazia etopica «in bilico fra le suggestive eredità del feudalesimo e le forti aspirazioni alla modernità» (Angelo Del Boca).
«Un libro meraviglioso che ha il grande pregio di condurci in un mondo del tutto sconosciuto a noi occidentali, quello complesso dell’aristocrazia etiopica degli anni Venti e Trenta».
Angelo Del Boca
«La principessa e i carnefici... Una cronaca in presa diretta di avvenimenti storici avvolti in un dramma».
Nello Ajello, La Repubblica
«Un libro bellissimo della figlia di uno dei grandi dignitari dell’imperatore d’Etiopia».
Giorgio Boatti, La Stampa
«L’Etiopia aristocratica del primo Novecento sopraffatta dalla feroce colonizzazione fascista».
Il Messaggero
«Suo padre era un nobile partigiano che si era battuto contro l’invasione fascista dell’Etiopia... lo racconta Martha Nasibù nel suo bel romanzo autobiografico».
La Nazione
«Martha Nasibù è una delle tante scrittrici africane che, negli ultimi anni, si sono date il compito di ricostruire un passato nutrito di storia orale, mettendo su carta quella parte di storia che non compare nei libri ufficiali. Lo ha fatto in maniera suggestiva, poetica e insieme puntuale».
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