I buttasangue

Il treno è l’Intercity Aspromonte 1588, il treno di rinforzo della domenica, il treno supplementare per raccogliere chi, una volta al mese, una settimana ogni due, torna dal Nord a casa, il venerdì notte, e ritorna al lavoro da Reggio Calabria e Napoli, la domenica sera è vero, già a guardarlo da lontano, Rafiluccio non è di buon’umore. Va su e giù, a passi lunghi, con la sigaretta in bocca sul marciapiede del binario 18 a Napoli Centrale.
“Si parte perché bisogna farlo, perché hai bisogno di quelle lire per campare la famiglia, ma lo sai che serve a niente, che non cambierà nulla, che quel che è oggi, sarà anche domani e dopodomani. Sai perché mi incazzo? Perché per me deve esistere solo il presente, la fatica di questa schifezza di oggi. Il passato è meglio che non ci penso. E il futuro non esiste, nemmeno lo immagino. Dimmi tu, non devo essere incazzato?”.
L’Aspromonte 1588, che – chi lo sa perché – in alcuni mesi dell’anno diventa 1590, è un treno triste. Uno di quei treni che quando arriva in stazione vedi scorrere illuminato e vuoto nelle carrozze di prima classe, vuoto del tutto, e come annerito dai corpi dei viaggiatori e umido di vapori nelle carrozze di seconda classe. Rafiluccio non sa nemmeno che si chiama Aspromonte. Lo chiama il Buttasangue. “Tutti quelli che vedi qui dentro buttano il sangue e ce lo hanno scritto in faccia”.
La Repubblica - Giuseppe D’Avanzo, 2004

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