È il 1962. A Caccamo, poche anime nell’entroterra palermitano, il boss don Peppino Panzeca siede comodo davanti alla sezione del Pci, pronto a intimidire chiunque voglia entrarvi. Qualcuno sta montando un altoparlante sul balcone. D’un tratto spunta una ragazza, che agguanta il microfono: «Prova, prova, per don Peppino. Se rimane seduto davanti a noi, allora è vero che è un mafioso; e se è così, allora gli chiedo di alzare gli occhi e sorridere ché gli voglio fare la fotografia». Paura e sgomento attraversano la piazza, insieme a una domanda: chi è quella fimmina tinta che osa sfidare con tale baldanza il potere mafioso? Quella ragazza ventottenne, arrivata al volante di una Topolino targata Ginevra, si chiama Vera Pegna. La sua è una storia straordinaria, una storia da film. Nata in una famiglia antifascista, in cui si è sempre parlato di libertà e giustizia, Vera vuole fare di più, sporcarsi le mani. Decide di partire per Partinico e seguire l’attività del Centro studi di Danilo Dolci, «il Gandhi siciliano», per poi presentarsi al cospetto della Federazione palermitana del Partito comunista: non so nulla di politica, dice, ma fatemi fare qualcosa di utile. C’è da salvare Caccamo, è la risposta, in mano alla mafia collusa con il potere politico. L’arrivo di Vera è un terremoto. È lei che arringa la gente strada per strada, che scrive a mano i volantini di protesta, che discute con i mezzadri per un’equa divisione dei prodotti. È sempre lei che parla di diritti e dignità alle donne ferme in ascolto dietro le persiane chiuse. Finalmente, anche i suoi compagni possono essere comunisti davvero, uscendo allo scoperto e denunciando i soprusi, per aggiungere concretezza all’ideale politico, per dare il buon esempio contro omertà e immobilismo. Nell’incredulità generale, il coraggio e il lavoro indefesso di Vera e di tutta la sezione vengono premiati: alle elezioni amministrative il Pci conquista ottocento voti e quattro seggi su trenta, formando per la prima volta dopo decenni un fronte d’opposizione in consiglio comunale. Cinquant’anni dopo, richiamata dai giovani che hanno ascoltato il racconto della sua vita mitica dai padri e dai nonni, Vera Pegna torna al «suo» paese, scoprendo che è cambiato, che la sua determinazione ha dato frutti eccellenti nella lotta per la democrazia e la libertà, ma che ancora molto c’è da fare. Sullo sfondo di una Sicilia rurale e remota, eppure così familiare, di morti sparati e silenzi colpevoli, Tempo di lupi e di comunisti è la storia vera di una donna vulcanica e agguerrita, di un Peppino Impastato al femminile che non ha mai smesso di combattere a fianco degli oppressi, per cercare la verità.
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È il Signore che la manda, vero? La Svizzera è il Paese del Signore, no? No, l’ha mandata la Croce Rossa perché è scoppiato il colera, ma no, il fatto è che il centrosinistra è andato al potere e quindi, invece di rivolgersi al sindaco, la Croce Rossa si rivolge al PCI. Queste sono alcune delle voci che si rincorrono per le strade di Caccamo all’apparire di una macchina con
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