Ora ti presto le mie parole
- Autore
- Grazia Passera
- Pubblicazione
- 04/07/2014
- Categorie
Perchè scrivo?
Scrivo per dare voce alla bambina persa e spaventata che sono stata e, insieme a lei, a tutti i bambini di ieri e di oggi che non sanno con quali parole descrivere le loro emozioni.
Scrivo per ricordare ad insegnanti ed educatori che dietro lo sguardo di un bambino c’è un mondo intero: a volte non vi ci addentriamo per rispetto, per non violarlo. La giustificazione, di frequente condivisa da molti, è che non bisogna “drammatizzare”. Ritengo che sarebbe invece opportuno chiedersi più spesso come sia possibile avvicinarglisi e tentare di comprenderlo, quel mondo misterioso.
Alcuni ragazzi comunicano il loro disagio in modo vistoso, talvolta anche violento; tal altri adottano atteggiamenti autolesionistici di diversa natura, con esiti anche tragici; altri ancora chiedono silenziosamente aiuto: lo chiedono a bassa voce o, forse, non lo chiedono affatto, per non disturbare.
Talvolta, riordinando i cassetti, mi ritrovo in mano una foto di quando ero piccola; una delle poche, in bianco e nero, scattatami certo furtivamente, per via della mia timidezza.
Un giorno, durante una sessione di psicodramma, nel gruppo di training di cui facevo parte, ho scelto di incontrare quella bambina: l’ho trovata sotto il tavolo, nascosta, che ascoltava le storie con il mangiadischi. Mi sono seduta anch’io per terra, accanto a lei. Con la consapevolezza di oggi, cogliendo il suo sguardo smarrito, l’ho stretta a lungo tra le mie braccia.
Credo di nutrire affetto e tenerezza per quella piccola. Se così non fosse, non avrei potuto amare con tanta intensità le mie figlie, né potrei accostarmi con profonda attenzione ai bisogni emotivi di ogni singolo bambino con cui lavoro (lavoravo).
Ho osservato di nuovo quella foto, settimane fa, strizzando l’occhio con complicità alla bambina di un tempo. E ho concluso che ora, forse, sì, potevo prestarle le mie parole.
Scrivo per dare voce alla bambina persa e spaventata che sono stata e, insieme a lei, a tutti i bambini di ieri e di oggi che non sanno con quali parole descrivere le loro emozioni.
Scrivo per ricordare ad insegnanti ed educatori che dietro lo sguardo di un bambino c’è un mondo intero: a volte non vi ci addentriamo per rispetto, per non violarlo. La giustificazione, di frequente condivisa da molti, è che non bisogna “drammatizzare”. Ritengo che sarebbe invece opportuno chiedersi più spesso come sia possibile avvicinarglisi e tentare di comprenderlo, quel mondo misterioso.
Alcuni ragazzi comunicano il loro disagio in modo vistoso, talvolta anche violento; tal altri adottano atteggiamenti autolesionistici di diversa natura, con esiti anche tragici; altri ancora chiedono silenziosamente aiuto: lo chiedono a bassa voce o, forse, non lo chiedono affatto, per non disturbare.
Talvolta, riordinando i cassetti, mi ritrovo in mano una foto di quando ero piccola; una delle poche, in bianco e nero, scattatami certo furtivamente, per via della mia timidezza.
Un giorno, durante una sessione di psicodramma, nel gruppo di training di cui facevo parte, ho scelto di incontrare quella bambina: l’ho trovata sotto il tavolo, nascosta, che ascoltava le storie con il mangiadischi. Mi sono seduta anch’io per terra, accanto a lei. Con la consapevolezza di oggi, cogliendo il suo sguardo smarrito, l’ho stretta a lungo tra le mie braccia.
Credo di nutrire affetto e tenerezza per quella piccola. Se così non fosse, non avrei potuto amare con tanta intensità le mie figlie, né potrei accostarmi con profonda attenzione ai bisogni emotivi di ogni singolo bambino con cui lavoro (lavoravo).
Ho osservato di nuovo quella foto, settimane fa, strizzando l’occhio con complicità alla bambina di un tempo. E ho concluso che ora, forse, sì, potevo prestarle le mie parole.
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