Nella colonia penale

“Strutture fatiscenti, temperature strangolanti, confinamenti degradanti, è questa l’essenza di una colonia penale, solamente uno dei troppi luoghi di carcerazione, detenzione e punizione al vertice più bieco e più oscuro di quello che fu il colonialismo imperialista. Eppure, in questa particolare colonia penale, spazio imprecisato e tempo indefinito, l’essenza stessa della colpa, e della sua espiazione, sembrano avvitarsi, distorcersi, contorcersi in un sistema sempre più depravato, sempre più perverso. Sistema che un non meglio specificato esploratore, ma più probabilmente ispettore in incognito, è chiamato a investigare. Al fulcro del suo incontro/scontro con un ugualmente indefinito ufficiale, c’è “l’Erpice”, bizzarro ordigno di punizione in bilico tra strumento di tortura e apparato di “scrittura” ideato e progettato del precedente comandante della colonia penale. Bandito dal sistema stesso quale metodo coercitivo troppo cruel and unusual, per il nostalgico ufficiale l’Erpice rimane comunque IL simulacro del potere nella sua forma più eccelsa. Quindi, in quello che appare come un ineluttabile crepuscolo del concetto stesso di colonia penale, quale migliore uscita di scena se non la più grondante – nel senso letterale del termine – delle punizioni inflitta al più eretico dei condannati tenuto come un cane alla catena dal più estraniato dei soldati? Esatto: l’ufficiale comproverà, che l’Erpice è la risposta. E lo comproverà al di là di ogni ragionevole dubbio, fino al limite estremo e oltre.
Da Franz Kafka, il genio immortale che ha concepito capolavori quali Il castello, Il processo e La metamorfosi, ecco una nuova mappa, tuttora pienamente valida, dell’orrida surrealtà dell’umano. O forse dell’in-umano.
Nella colonia penale, tra atmosfere sadiane che sembrano rievocare I disastri della guerra di Goya, vengono a concentrarsi tutte le più eccelse componenti kafkiane: l’osceno del potere, il delirio dell’aguzzino, la complicità della vittima, l’acquiescenza dell’osservatore. Un altro capolavoro, quindi, assolutamente agghiacciante nelle sue implicazioni a tutt’oggi profetiche.” (Alan D. Altieri)
Tratto da La metamorfosi, pubblicato da Feltrinelli. Numero di caratteri: 62.949

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