Diario di Londra

Arrivai a Londra una sera di marzo, dopo tanti anni nel Sinai egiziano. La situazione sia politica, sia sociale che lavorativa in Egitto aveva creato in me in un crescendo un senso d’allarme che mi aveva portata infine a saltare via, letteralmente, come un tappo da una bottiglia, per porti più sicuri e più umani. Tali almeno credevo essi fossero. Il mio paese, l’Italia, allora non l’avevo neanche considerato, essendomi fatta l’idea, erronea, che non differisse ormai di molto dall’Egitto. Cercavo rispetto, civiltà, riconoscimento. Non ho trovato nulla di queste cose e ne ho trovate altre, ma questa è una lunga storia. Quella che ho raccontato nel diario che segue, cercando di correre dietro agli eventi per scriverli prima che mi seminassero.

Un’amica, nel supportarmi, mi scriveva che la vita è come un grosso luna-park e a volte saltiamo dal tunnel dell’amore alle montagne russe o al trenino dei fantasmi, dal mondo dei balocchi a salti nel vuoto. In certi momenti ci sembra di essere soli e persi e allora la scrittura serve a tenere stretto il filo d’Arianna che ci riporterà al prossimo momento di luce. Per me almeno è sempre così. Di conseguenza, in questo scritto ci si ritroverà sbalzati dalla poesia alla barzelletta, dal dramma alla piece teatrale comica, dal surrealismo all’impressione di essere in un film, e via dicendo. In fondo, è solo un diario. Un esempio di una delle migliaia di italiani e italiane confluiti a Londra in seguito alla crisi economica in corso. E uno scritto controcorrente: uno scritto a supporto del ritorno dei cervelli.

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