Il meglio è passato. Il senso della storia e il senso del ridicolo
- Autore
- Enrico Vaime
- Editore
- Compagnia editoriale Aliberti
- Pubblicazione
- 01/01/2016
- Categorie
Secondo Enrico Vaime, però, a noi italiani si addice molto di più il detto contrario.
È sempre il meglio, ad essere passato. O se volete, il passato era sempre e comunque meglio. Per alcuni italiani – molti? – la nostalgica considerazione pare valere in modo particolare quando si va a rivangare quel delicato periodo della storia nazionale che va sotto il nome comune di ventennio. L’Italia del fascismo e dei suoi immediati postumi è dunque la protagonista assoluta di questo libro. Il co-protagonista è un bambino di quei tempi. Un figlio della lupa «emarginato dai grandi eventi e ridotto a ruolo di testimone immaturo e frastornato». Naturalmente si tratta dell’autore, come ci testimonia l’impeccabile foto di copertina. Il suo «sguardo sbalordito» di allora è il punto di partenza, una tabula rasa sulla quale si sono impressi con forza ricordi, sensazioni e impressioni non filtrate. Grandi papaveri del regime corrotti e corruttori, a dispetto del diffuso standard pseudo-storico delle «tasche vuote» dei fascisti. Maneggioni che copiano perfino le tesi di laurea. Lo stesso Mussolini che si vanta, pur essendo stato bocciato all’esame con 4 in tedesco, di capirlo e di poter parlare con Hitler senza l’interprete: una scenetta che sarebbe da commedia all’italiana, se non sottintendesse argomenti terribili e tragici.
Fra tutti gli aneddoti, o sarebbe più giusto dire le storie minori, che Vaime dissemina lungo il suo racconto – gustosi e fulminanti, come sempre – forse il migliore è quello del gerarca che, il giorno della Liberazione, si presenta in alta uniforme per un evidente equivoco alla prefettura di Perugia. Mentre i partigiani lo inseguono sghignazzando giù per la discesa della Rocca Paolina, a uno di loro che gli urlava «Fermati, fascista» l’uomo replica: «Fascista chi, io?!».
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