Quadri apocrifi: in cronache di tempi perduti
- Autore
- Egidio Pentiraro
- Editore
- Guaraldi
- Pubblicazione
- 21/03/2016
- Categorie
Non si inganni il lettore nel ritenere questi “Quadri Apocrifi ” una delle (troppe) opere di memorialistica domestica creata attorno a identità familiari commiste ad altre identità sociali, rincorse per lasciare alla posterità una qualche eredità di senso, quasi sempre accettata dai presunti eredi solo con ampio “beneficio di inventario”.
La sequenza di 0-1, vale a dire il metodo digitale con cui l’Autore accompagna la sua improbabile esposizione probatoria delle fonti storiche delle vicende che gli stanno a cuore, sembra voler costantemente sviare il lettore dal vero impianto onirico del narrato, come succede con gli incubi (inclusi quelli storici). E lo incalza piuttosto ad approfondire, con le armi della critica, il “senso” dei tre affreschi che non a caso si articolano in epoche così diverse e distanti tra loro: dal paesaggio agrario delle “Terre Vecchie” del ferrarese, alle ambivalenze storico-politiche in camicia nera che fanno da contorno alle vicende eroicizzanti di un antenato; fino al resoconto delle propaggini di quella stessa famiglia in Africa Orientale.
I tre quadri di questo libro, non a caso “apocrifi ”, sono la pura trasfigurazione letteraria dell’equazione personale dell’autore, che mescola in un grande impasto iper-realista, le storie che potrebbero svelargli il DNA di genialità, follia e visionarietà che ha accompagnato tutta la sua vita “reale”, fi no a diventare quello che – per la storia dell’editoria – è stato: il vero precursore della svolta digitale, quando ancora si chiamava “editoria elettronica”.
La sua semi-immaginaria autobiografi a sembra solo lo specchio deformante che serve a rassicurare chi vi si specchia che tutto è solo un “gioco”. Come un’ombra che passa.
La sequenza di 0-1, vale a dire il metodo digitale con cui l’Autore accompagna la sua improbabile esposizione probatoria delle fonti storiche delle vicende che gli stanno a cuore, sembra voler costantemente sviare il lettore dal vero impianto onirico del narrato, come succede con gli incubi (inclusi quelli storici). E lo incalza piuttosto ad approfondire, con le armi della critica, il “senso” dei tre affreschi che non a caso si articolano in epoche così diverse e distanti tra loro: dal paesaggio agrario delle “Terre Vecchie” del ferrarese, alle ambivalenze storico-politiche in camicia nera che fanno da contorno alle vicende eroicizzanti di un antenato; fino al resoconto delle propaggini di quella stessa famiglia in Africa Orientale.
I tre quadri di questo libro, non a caso “apocrifi ”, sono la pura trasfigurazione letteraria dell’equazione personale dell’autore, che mescola in un grande impasto iper-realista, le storie che potrebbero svelargli il DNA di genialità, follia e visionarietà che ha accompagnato tutta la sua vita “reale”, fi no a diventare quello che – per la storia dell’editoria – è stato: il vero precursore della svolta digitale, quando ancora si chiamava “editoria elettronica”.
La sua semi-immaginaria autobiografi a sembra solo lo specchio deformante che serve a rassicurare chi vi si specchia che tutto è solo un “gioco”. Come un’ombra che passa.
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