Un marziano a Roma

A distanza di pochissimi mesi dal clamoroso epilogo del suo mandato, Ignazio Marino ha scritto la sua verità. Un racconto, duro e senza censure, che rivela le resistenze che ha trovato e svela quelle che alla fine lo hanno eliminato; l’analisi, punto per punto, di una stagione del governo di Roma che voleva marcare un cambiamento assoluto; il ricordo, commosso e grato, di tutti coloro (cittadini e assessori) che hanno partecipato insieme a lui a questa avventura e lo hanno sostenuto fino in fondo. La sua visione di una città che può uscire dalla palude e presentarsi al mondo come grande capitale europea proiettata nel futuro.
Il sogno spezzato della sua amministrazione, da quando strappò la guida di Roma a Gianni Alemanno, fino alle firme da un notaio dei consiglieri del Pd con alcuni della destra, che insieme ne determinarono la caduta. Una vicenda che ha tenuto banco per mesi su tutti i media nazionali e internazionali, in un crescendo di attenzione che ha reso il sindaco Marino una delle figure pubbliche più riconoscibili e dibattute. Eppure, non è mai stato semplice incasellarlo in una definizione: un sindaco fuori posto, non capito da tutti i romani e accoltellato dal suo stesso partito? O un sindaco onesto, assediato dal sistema di potere di Mafia Capitale, sostenuto dai cittadini e tradito clamorosamente da chi lo doveva difendere?
Un sognatore ingenuo, un puro e duro, un tecnico, un politico, un marziano a Roma? In un racconto serrato, pieno di dettagli sulla vita e l’amministrazione della capitale, Marino disegna un ritratto esplosivo, ma niente affatto scandalistico, della politica romana e non solo. Forse per la prima volta un sindaco racconta in dettaglio la complessità e l’urgenza delle decisioni quotidiane, la pressione delle influenze dietro le quinte, le difficoltà di far comprendere e accettare il cambiamento, i rapporti di forza, i meccanismi non meritocratici, che ha cercato di cambiare, alla base di tante nomine.
Senza paura di fare nomi e cognomi.

“Sono sempre stato un testardo. E i testardi possono vincere o perdere ma non riescono a galleggiare: emergono o affondano.”

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