Non chiamarmi bastardo, io sono John Fante

Una fredda mattina del 1981 lo scrittore John Fante, ormai cieco e su una sedia a rotelle, sente di avere ancora qualcosa da scrivere e inizia a dettare alla moglie il suo ultimo romanzo. Eduardo Margaretto, appassionato e profondo conoscitore di Fante, mette in scena un racconto che va oltre la semplice biografia allargando lo sguardo sulle storie dell’emigrazione italiana nelle Americhe. Pagina dopo pagina descrive la California di quegli anni, in bilico tra le incertezze della Grande Depressione e l'euforia della nascente industria cinematografica. Su questo sfondo storico-sociale si sviluppano i temi portanti del mondo letterario di Fante di cui scopriamo la vita: le origini italiane, un padre ingombrante (un “muratore con la passione del vino e una predilezione per le risse da bar”), l’emarginazione dell’adolescenza (“Quando ero un ragazzo, lì in Colorado, erano quegli stessi Smith, Parker e Jones che mi ferivano attribuendomi feroci appellativi. Per loro ero un wop, un dago, un greaser”), la difficoltà di un aspirante scrittore ad emergere, la fame, il sogno americano, il successo hollywoodiano, i libri, l’amore, l’alcool. E la scrittura intesa sempre come possibilità di riscatto (“mi sedetti davanti alla macchina da scrivere e mi soffiai sulle dita”). Realtà e finzione, vita vissuta e letteratura si mescolano in un affascinante intreccio narrativo che gioca sul continuo parallelismo tra il Fante reale e il suo alter ego letterario: “Io, John Fante e Arturo Bandini”, scrisse nel prologo di Chiedi alla polvere, “due in uno”.

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