Garum: «Si può dire che non ci sia alcun liquido, all’infuori dei profumi, che abbia preso a costare di più» (La grande storia delle piccole cose Vol. 1)
- Autore
- Claudia Pandolfi
- Editore
- Licosia
- Pubblicazione
- 27/12/2017
- Categorie
Che cosa era il ‘garum’? Sicuramente, una salsa di pesce, molto pregiata, presente sulle tavole dei ricchi e dei buongustai dell’antica Roma. Petronio, nella coreografica ‘Cena di Trimalchione’, descrive il trionfo di pietanze varie, ai cui angoli quattro statuette facevano colare da piccoli otri ‘garum’ al pepe sopra dei pesci, che sembravano così nuotare in una sorta di canale. Su come il ‘garum’ fosse preparato le fonti non sono univoche, e spesso tendono a confonderlo o ad assimilarlo con condimenti analoghi, denominati ‘liquamen’ e ‘muria’. Attraverso un’analisi dei testi letterari, dei trattati medici e dei manuali di cucina tramandati dall’antichità, il libro ricostruisce la complessa storia di questa misteriosa salsa, che, nelle sue varianti – non ultima la colatura di alici di Cetara – sembra godere oggi di una rinnovata fortuna in diversi contesti gastronomici.
“Fu… servito un antipasto molto raffinato […] Su un grande vassoio era posato un asinello di bronzo corinzio con una bisaccia che conteneva olive bianche da un lato e nere dall’altro. Sopra l’asinello c’erano due piatti, sull’orlo dei quali erano incisi il nome di Trimalchione e la caratura dell’argento. Un sistema di piccole e ben saldate impalcature sostenevano poi dei ghiri cosparsi di miele e semi di papavero.
Seguì una portata non così grande quanto ci si aspettava, ma la cui originalità attrasse gli sguardi di tutti. Si trattava di un trionfo rotondo, che presentava, in cerchio, i dodici segni zodiacali, e sopra ciascuno di essi il maestro di cucina aveva posto il particolare cibo corrispondente al segno stesso: sopra l’Ariete i ceci, sopra il Toro carne di mucca, sopra i Gemelli testicoli e rognoni, sopra il Cancro una corona, sopra il Leone fichi d’Africa, sopra la Vergine una vulva di scrofa da latte, sopra la Bilancia una stadera che portava su un piatto una focaccia salata e sull’altro una dolce […] Al centro, una zolla d’erba tagliata sosteneva un favo. Un giovanissimo servo egiziano distribuiva il pane da una teglia di cottura d’argento […] Accorsero ballando a suon di musica quattro servi, che tolsero la parte superiore del trionfo, e allora vedemmo nella parte inferiore pollame vario e mammelle di scrofa e in mezzo una lepre ornata di ali così da rappresentare Pegaso. Notammo anche, agli angoli del trionfo, quattro statuette di Marsia, il sileno genio delle acque, dai cui piccoli otri colava garum al pepe su dei pesci che sembravano così nuotare in una sorta di canale (Petronio, Satyricon, 31, 8 – 36,3)”
Da sempre, l’episodio della celebre Cena di Trimalchione, contenuto ai capitoli 27-78 del Satyricon, rappresenta una fonte importante per chi voglia interrogarsi sulle abitudini alimentari e sull’arte del banchetto nella Roma di età imperiale. Con grande ironia, Petronio vi mette in scena uno spettacolo fastoso, sorprendente, a tratti volgare, dove tutto – dagli arredi alle pietanze, ai vini, ai servitori, alle attrazioni spettacolari, alle conversazioni pretenziose – riflette la pulsione ossessiva dell’arricchito di turno ad ostentare potere e ricchezze...
Claudia Pandolfi, latinista, dal 1971 al 2011 ha insegnato presso le Università di Urbino, Bologna e Ferrara; ha ricoperto gli incarichi di Lingua e letteratura latina, Letteratura latina, Filologia latina medievale e umanistica, Letteratura latina medievale e umanistica, Cultura medievale e umanistica, Didattica del latino.
Oltre a numerosi contributi sulla latinità classica e umanistica, ha pubblicato edizioni critiche e traduzioni di testi di G. Vico (La congiura dei principi napoletani. 1701, Morano 1992), L. G. Giraldi (Due dialoghi sui poeti dei nostri tempi, Corbo 1999), P. Prisciani (Orazione per le nozze di Alfonso d’Este e Lucrezia Borgia, Dep. Prov. Ferrarese di Storia Patria 2004), Ch. G. Heyne (Greci barbari, Argo 2004). Recentemente, è uscita una sua raccolta di saggi, Fantasmi dell’antica Roma e altre storie (2015).
“Fu… servito un antipasto molto raffinato […] Su un grande vassoio era posato un asinello di bronzo corinzio con una bisaccia che conteneva olive bianche da un lato e nere dall’altro. Sopra l’asinello c’erano due piatti, sull’orlo dei quali erano incisi il nome di Trimalchione e la caratura dell’argento. Un sistema di piccole e ben saldate impalcature sostenevano poi dei ghiri cosparsi di miele e semi di papavero.
Seguì una portata non così grande quanto ci si aspettava, ma la cui originalità attrasse gli sguardi di tutti. Si trattava di un trionfo rotondo, che presentava, in cerchio, i dodici segni zodiacali, e sopra ciascuno di essi il maestro di cucina aveva posto il particolare cibo corrispondente al segno stesso: sopra l’Ariete i ceci, sopra il Toro carne di mucca, sopra i Gemelli testicoli e rognoni, sopra il Cancro una corona, sopra il Leone fichi d’Africa, sopra la Vergine una vulva di scrofa da latte, sopra la Bilancia una stadera che portava su un piatto una focaccia salata e sull’altro una dolce […] Al centro, una zolla d’erba tagliata sosteneva un favo. Un giovanissimo servo egiziano distribuiva il pane da una teglia di cottura d’argento […] Accorsero ballando a suon di musica quattro servi, che tolsero la parte superiore del trionfo, e allora vedemmo nella parte inferiore pollame vario e mammelle di scrofa e in mezzo una lepre ornata di ali così da rappresentare Pegaso. Notammo anche, agli angoli del trionfo, quattro statuette di Marsia, il sileno genio delle acque, dai cui piccoli otri colava garum al pepe su dei pesci che sembravano così nuotare in una sorta di canale (Petronio, Satyricon, 31, 8 – 36,3)”
Da sempre, l’episodio della celebre Cena di Trimalchione, contenuto ai capitoli 27-78 del Satyricon, rappresenta una fonte importante per chi voglia interrogarsi sulle abitudini alimentari e sull’arte del banchetto nella Roma di età imperiale. Con grande ironia, Petronio vi mette in scena uno spettacolo fastoso, sorprendente, a tratti volgare, dove tutto – dagli arredi alle pietanze, ai vini, ai servitori, alle attrazioni spettacolari, alle conversazioni pretenziose – riflette la pulsione ossessiva dell’arricchito di turno ad ostentare potere e ricchezze...
Claudia Pandolfi, latinista, dal 1971 al 2011 ha insegnato presso le Università di Urbino, Bologna e Ferrara; ha ricoperto gli incarichi di Lingua e letteratura latina, Letteratura latina, Filologia latina medievale e umanistica, Letteratura latina medievale e umanistica, Cultura medievale e umanistica, Didattica del latino.
Oltre a numerosi contributi sulla latinità classica e umanistica, ha pubblicato edizioni critiche e traduzioni di testi di G. Vico (La congiura dei principi napoletani. 1701, Morano 1992), L. G. Giraldi (Due dialoghi sui poeti dei nostri tempi, Corbo 1999), P. Prisciani (Orazione per le nozze di Alfonso d’Este e Lucrezia Borgia, Dep. Prov. Ferrarese di Storia Patria 2004), Ch. G. Heyne (Greci barbari, Argo 2004). Recentemente, è uscita una sua raccolta di saggi, Fantasmi dell’antica Roma e altre storie (2015).
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