Orrore

Tutto ha inizio con una casa nel bosco. Una casa apparentemente abbandonata. Al suo interno, polvere e muffa dappertutto… a eccezione di alcuni angoli lindi e scrupolosamente ordinati. E poi una maschera demoniaca di cartapesta, il disegno di un bambino che sembra appeso al muro da qualche giorno soltanto – la carta bianca e senza sciupature – e, al piano superiore, una maschera ancora più inquietante, ricavata in una tanichetta opaca. Tutta la casa urla che qualcosa di sinistro accade fra quelle mura, ma cosa?

Il protagonista e sua moglie sono appena rientrati per Natale in Italia: vivono a New York, e da poco è nato il loro bambino. Sono immersi nell’atmosfera morbida di quei primi mesi e approfittano delle vacanze per rivedere i vecchi amici. È allora che, seduti al tavolo di un caffè, scoprono la casa misteriosa dal racconto di Diego e Lidia. Lui in particolare li ascolta con attenzione: è uno scrittore in cerca di storie e viene subito attratto dalla possibilità di trovare materia per il suo prossimo romanzo.

Durante le vacanze il pensiero torna continuamente a quel luogo, perciò – quando è il momento di rientrare negli Stati Uniti – la moglie gli propone di restare lì ancora un po’, da solo, a inseguire quella storia. Accettando, lui progetta di prendersi giusto un paio di settimane e poi di raggiungere moglie e figlio negli Stati Uniti (ed è a lui, al bambino ormai cresciuto, che il padre racconta la storia che leggiamo), ma quel mistero è così inesplicabile, racchiude qualcosa che lo attrae così visceralmente che il tempo e le distanze si allungano. La distanza con la sua famiglia, ma anche la distanza dal se stesso che credeva di conoscere. Gli appostamenti davanti alla casa diventano infatti, giorno dopo giorno, notte dopo notte, qualcosa d’altro, come se lo sguardo si spostasse dalla casa verso di sé.

Pietro Grossi, scrittore inquieto e penna precisa come un bisturi, vira verso l’horror, immergendoci dentro ombre popolate da paure striscianti, inesprimibili, per poi farci precipitare nell’abisso. Senza più alzare gli occhi dalla pagina.


“Al piano di sopra, nel bagno, la vasca era anch’essa perfettamente pulita, con accanto una dozzina di tanichette bianche e gialle. Intorno e dentro al lavandino c’erano scatole

di cerotti e garze, e sparse in terra delle confezioni sterili

da ospedale. Vicino al bagno, su uno sbilenco armadio con le ante scrostate, era appoggiata un’altra grottesca maschera, malamente intagliata in una cilindrica tanichetta di plastica opaca. La tanichetta era stata divisa a metà per la sua altezza

e capovolta, il manico fungeva da sede per il naso e intorno

al manico erano stati aperti alla meno peggio tre buchi, due

per gli occhi e uno per la bocca.”

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