IL PANE NELL'ARTE
- Autore
- ALBERTO ACHILLI
- Pubblicazione
- 10/03/2019
- Categorie
Un viaggio nella storia dell’arte figurativa attraverso un insolito filo conduttore: il pane, cibo semplice e povero, ma carico di infiniti significati simbolici e da sempre presente sulle nostre tavole.
Di un marroncino che difficilmente illumina la scena, esso ha infatti raramente occupato il centro delle tele, nella stessa maniera in cui di rado risulta essere piatto principale. Ma proprio per questa sua presenza discreta e costante si presta, forse come nessun’altro alimento, a percorrere i secoli, attraversando culture e strati sociali diversi.
Il percorso parte dall’Antico Egitto, dove nasce il pane come lo conosciamo oggi. Se è infatti ragionevole affermare che nella Preistoria l’uomo si cibasse di semi di cereali, interi o macinati, mischiati ad acqua per creare un impasto molliccio e gradevole al palato (la cottura è un passaggio successivo), è agli Egizi che va il merito della scoperta decisiva per arrivare al pane comunemente inteso.
Si tratta della fermentazione, processo probabilmente scoperto in modo casuale, tramite la mera osservazione di ciò che avviene in natura: quell’impasto di cereali e acqua, infatti, se lasciato per un giorno a riposare a temperatura ambiente, aumenta di volume e assume un aroma più piacevole, e una volta cotto, risulta più morbido e digeribile.
Gli Egizi credono che i defunti necessitino di nutrimento anche dopo la morte: naturale, per loro, è dunque lasciare nelle tombe pane e altre cibarie, oltre a statuette raffiguranti individui intenti a impastare e mettere in forno.
Da qui in avanti (e con costanti migliorie nella preparazione del prodotto) il legame fra arte e pane non si spezzerà mai, ritornando come elemento imprescindibile dell’iconografia di qualsiasi civiltà.
Greci e Romani dispongono già di una varietà di pani davvero cospicua, come testimoniano anfore, mosaici e affreschi dell’epoca. Ma è con l’avvento del Cristianesimo che questo alimento diventa protagonista: il pane è il corpo di Cristo, offerto in sacrifico agli uomini, e il “dacci oggi il nostro pane quotidiano” è un’invocazione dell’uomo a Dio di essere nutrito, materialmente e spiritualmente. Forme di pane compaiono nei vari episodi conviviali del Vangelo, dall’Ultima Cena, alle Nozze di Cana, alla Cena in Emmaus, che costituiscono parte essenziale del repertorio di ogni artista da Giotto fino almeno al Seicento.
In un senso più laico, il termine “pane” è usato in numerose figure retoriche di uso comune (“togliere il pane di bocca”, “guadagnarsi il pane”) come sinonimo di cibo tout court, o del raggiungimento di un tenore di vita tale da soddisfare quantomeno i bisogni primari propri e dei famigliari.
Il pane è, in effetti, il primo e più elementare alimento creato dall’ingegno dell’uomo, che dopo essersi cibato per millenni di cacciagione, frutta e verdura, introduce nella propria dieta un elemento che implica una complessa lavorazione e la conoscenza di una molteplicità di tecniche e processi.
Accanto al prodotto finito, acquistano pari dignità, dunque, gli attori di questo processo: mietitori, setacci, forni, panettieri, tutti simboli dell’operosità di una comunità e della dignità dei ceti meno abbienti.
A rendere omaggio a questi soggetti pensa soprattutto la “pittura di genere”: scene di ambientazione popolaresca che spopolano a margine della pittura ufficiale, dalla seconda metà del XVI secolo in avanti, anticipando per certi versi quella cruda rappresentazione del mondo dei diseredati che caratterizzerà il Realismo ottocentesco.
Slegato da evidenti significati simbolici, il pane è infine una presenza costante nelle nature morte di ogni epoca, da quelle barocche ai quelle cubiste, fino ai toast della Pop Art.
È un viaggio, dunque, di circa 4000 anni, fra arte e cucina, in cui l’arte si è reinventata infinite volte, mentre il pane ha forse perso qualcosa del suo significato religioso e sociale, ma ha saputo mantenere una posizione privilegiata nei gusti dei gourmets.
Di un marroncino che difficilmente illumina la scena, esso ha infatti raramente occupato il centro delle tele, nella stessa maniera in cui di rado risulta essere piatto principale. Ma proprio per questa sua presenza discreta e costante si presta, forse come nessun’altro alimento, a percorrere i secoli, attraversando culture e strati sociali diversi.
Il percorso parte dall’Antico Egitto, dove nasce il pane come lo conosciamo oggi. Se è infatti ragionevole affermare che nella Preistoria l’uomo si cibasse di semi di cereali, interi o macinati, mischiati ad acqua per creare un impasto molliccio e gradevole al palato (la cottura è un passaggio successivo), è agli Egizi che va il merito della scoperta decisiva per arrivare al pane comunemente inteso.
Si tratta della fermentazione, processo probabilmente scoperto in modo casuale, tramite la mera osservazione di ciò che avviene in natura: quell’impasto di cereali e acqua, infatti, se lasciato per un giorno a riposare a temperatura ambiente, aumenta di volume e assume un aroma più piacevole, e una volta cotto, risulta più morbido e digeribile.
Gli Egizi credono che i defunti necessitino di nutrimento anche dopo la morte: naturale, per loro, è dunque lasciare nelle tombe pane e altre cibarie, oltre a statuette raffiguranti individui intenti a impastare e mettere in forno.
Da qui in avanti (e con costanti migliorie nella preparazione del prodotto) il legame fra arte e pane non si spezzerà mai, ritornando come elemento imprescindibile dell’iconografia di qualsiasi civiltà.
Greci e Romani dispongono già di una varietà di pani davvero cospicua, come testimoniano anfore, mosaici e affreschi dell’epoca. Ma è con l’avvento del Cristianesimo che questo alimento diventa protagonista: il pane è il corpo di Cristo, offerto in sacrifico agli uomini, e il “dacci oggi il nostro pane quotidiano” è un’invocazione dell’uomo a Dio di essere nutrito, materialmente e spiritualmente. Forme di pane compaiono nei vari episodi conviviali del Vangelo, dall’Ultima Cena, alle Nozze di Cana, alla Cena in Emmaus, che costituiscono parte essenziale del repertorio di ogni artista da Giotto fino almeno al Seicento.
In un senso più laico, il termine “pane” è usato in numerose figure retoriche di uso comune (“togliere il pane di bocca”, “guadagnarsi il pane”) come sinonimo di cibo tout court, o del raggiungimento di un tenore di vita tale da soddisfare quantomeno i bisogni primari propri e dei famigliari.
Il pane è, in effetti, il primo e più elementare alimento creato dall’ingegno dell’uomo, che dopo essersi cibato per millenni di cacciagione, frutta e verdura, introduce nella propria dieta un elemento che implica una complessa lavorazione e la conoscenza di una molteplicità di tecniche e processi.
Accanto al prodotto finito, acquistano pari dignità, dunque, gli attori di questo processo: mietitori, setacci, forni, panettieri, tutti simboli dell’operosità di una comunità e della dignità dei ceti meno abbienti.
A rendere omaggio a questi soggetti pensa soprattutto la “pittura di genere”: scene di ambientazione popolaresca che spopolano a margine della pittura ufficiale, dalla seconda metà del XVI secolo in avanti, anticipando per certi versi quella cruda rappresentazione del mondo dei diseredati che caratterizzerà il Realismo ottocentesco.
Slegato da evidenti significati simbolici, il pane è infine una presenza costante nelle nature morte di ogni epoca, da quelle barocche ai quelle cubiste, fino ai toast della Pop Art.
È un viaggio, dunque, di circa 4000 anni, fra arte e cucina, in cui l’arte si è reinventata infinite volte, mentre il pane ha forse perso qualcosa del suo significato religioso e sociale, ma ha saputo mantenere una posizione privilegiata nei gusti dei gourmets.
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