L'aggredito e l'aggressore, forse
- Autore
- Alessio Martini
- Pubblicazione
- 12/09/2024
- Valutazione
- 1
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1905. La guerra russo – giapponese volge al termine. L’ammiraglio Rožestvenskij, che aveva condotto con energia incrollabile una squadra navale dal Baltico al Pacifico e che aveva combattuto strenuamente alla battaglia di Tsushima, durante la quale era rimasto gravemente ferito, si risveglia dal coma.
Si trova ricoverato in un ospedale militare, prigioniero dei giapponesi; qui incontra il suo diretto subordinato, l’ammiraglio Nebogatov, che invece si è arreso ai giapponesi senza combattere: è consapevole che quando ritornerà in Russia finirà davanti al plotone d’esecuzione, ma ha scelto la resa per salvare la vita dei duemilacinquecento uomini imbarcati sulle navi al suo comando.
Il dissidio fra i due alti ufficiali esplode in un litigio furibondo. L’onore militare, la dedizione alla patria e allo zar fino alla morte, la scelta di suicidarsi piuttosto che arrendersi per Rožestvenskij sono valori assoluti, mentre per Nebogatov non significano più nulla di fronte allo sfacelo della classe dirigente della Russia zarista, che prima ha rifiutato la trattiva diplomatica con il Giappone, poi è stata incapace di condurre la guerra che alla fine, dopo il rifiuto di qualunque compromesso, si chiude con una disfatta disastrosa.
1915. Clara Immerwahr è la prima donna che si laurea in chimica in Germania: poteva percorrere una brillante carriera accademica, ma il suo eccezionale talento naufraga a causa del matrimonio fallimentare con Fritz Haber.
Nella primavera del 1915, nella villa del professor Haber, capitano dell’esercito imperiale tedesco e genio della chimica di fama mondiale, si tiene una cena di gala per festeggiare un evento molto particolare: durante la battaglia di Ypres, per la prima volta nella storia, sono stati usati i gas tossici messi a punto da Haber, che in pochi minuti hanno ucciso cinquemila soldati nemici.
Davanti agli ospiti, Clara accusa apertamente il marito di essere un criminale di guerra, lui ribatte che l’uso di armi tanto micidiali quanto innovative permetterà di ottenere una vittoria decisiva, di risparmiare vite umane e di arrivare rapidamente alla pace, alle condizioni dei vincitori ovviamente.
Piuttosto che continuare a vivere con il marito e magari a collaborare alle sue ricerche scientifiche sui gas, Clara Immerwhar preferisce scomparire in un sonno eterno e senza incubi: si suicida con un colpo di pistola al cuore.
1945. La mattina del 7 agosto, il giorno dopo il lancio della bomba atomica su Hiroshima, Robert Oppenheimer si sveglia dopo una notte di sogni agitati. Edward Teller, che ha collaborato con lui nel progetto Manhattan, passa a salutarlo nel suo studio.
Teller è entusiasta del successo di Hiroshima, è certo che l’arma più distruttiva di tutti i tempi ha permesso di salvare la vita a migliaia di soldati americani e porterà la pace; e se Stalin oserà attaccare gli Stati Uniti, l’atomica consentirà di annientare per sempre la minaccia sovietica.
Oppenheimer è perplesso di fronte alle certezze del collega. Confessa di sentirsi le mani sporche di sangue, comincia a pensare che il Giappone si sarebbe arreso comunque in breve tempo e che Hiroshima sia stata l’ennesima inutile strage di vite umane, una vendetta senza limiti per l’attacco proditorio a Pearl Harbour di quattro anni prima.
La lunga conversazione non porta a nulla, le certezze di Teller sono granitiche, i dubbi e le perplessità di Oppenheimer cadono nel vuoto.
In tutti e tre i capitoli, emergono ossessivi gli argomenti del nostro presente: l’aggredito e l’aggressore, la guerra di difesa che è sempre giusta, le armi che servono alla pace, il rifiuto di qualunque trattativa diplomatica, la presunta superiorità morale di una parte rispetto all’altra.
Nel romanzo emerge la realtà che tutti conosciamo: le guerre portano solo stragi e distruzioni, sono una lotta fra imperialismi, le parti in lotta si abbandonano ad ogni atrocità e crimini di guerra. E le odierne narrazioni autoassolutorie sono menzognere e ipocrite.
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