Nel giardino di Epicuro

Nel romanzo di Anatole France Gli dei hanno sete, ambientato durante la rivoluzione, uno dei personaggi, Brotteaux, modello di filosofo epicureo e alter-ego dell’autore, si esprime in questi termini: “Io ho amore per la ragione, ma non ne ho per il fanatismo. La ragione ci guida e ci illumina, ma quando ne fate una divinità, essa vi acceca e vi induce al delitto”. E sul finire del romanzo, allorché anche Brotteaux è caduto vittima del furore del tribunale rivoluzionario, l’autore stesso ritorna sulla questione: “Quando si crede di possedere la verità e la saggezza, si finisce con l’attribuire agli avversari l’errore e il male”.

Alla grande fiducia di France nella ragione si accompagna una profonda conoscenza dell’uomo, e con essa la consapevolezza di come l’esasperazione di ogni verità possa generare l’errore. Sulla scia della grande tradizione umanistica francese, France ci mette in guardia dal rischio di trasformare la ragione in strumento di oppressione. Il fanatismo è il peggiore dei mali dell’umanità.

Il suo pensiero evolve così verso uno scetticismo misurato, che suona come un costante richiamo al rispetto degli altri, un freno a tutte le convinzioni nel fondato timore che da esse si scateni l’intolleranza.

In una tale concezione della vita non c’è posto né per il peccato né per il dogma, e, pur dispiacendosi della mancanza di fede, nega ogni idea di Dio, in quanto inconciliabile con il male del mondo. Ancora un passo del romanzo: “I filosofi e i teologi che fanno di Dio l’autore della natura lo chiamano buono perché lo temono, ma sono costretti a convenire che agisce in maniera atroce, ed è la sua malignità, di portata rara a trovarsi anche tra gli uomini, a renderlo adorabile in terra. Poiché la nostra miserevole specie non consacrerebbe un culto a degli dei giusti e benevoli, dei quali non avesse nulla da temere e non serberebbe un’inutile gratitudine per i loro benefici. Senza il purgatorio e l’inferno, il buon Dio non sarebbe che un povero diavolo”.

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