IL MATT'ATTORE

Il matt’attore raccoglie alcuni articoli pubblicati su La Stampa a partire dagli anni '80 del Novecento. Sono scritti di argomento teatrale. Vi appaiono autori e registi, vi si depositano sogni e tendenze di un mestiere fatto di immaginazione e di scienza, magari di incantevole cialtroneria, ma il cui punto d’arrivo è uno solo: quello dell’attore. È lui il centro dell’attenzione, è sua la presenza che dà significato al palcoscenico. Con la complicità dello spettatore, l’attore rende possibile l’eterna illusione del teatro. Fingitore per vocazione e per contratto, esiste per dare verità alla menzogna. È così da sempre e non si vede come possa essere diverso finché il teatro spargerà nel buio di una sala il fosforo dei suoi trucchi e delle sue favole, finché il teatro sarà in grado di vivere sul serio quel che gli altri recitano nella vita.
Seguendo lo schema del dizionario, dalla A di Marta Abba alla Z di Cesare Zavattini, trovano posto e giustificazione tutte quelle figure (ombre?) che, per dirla con Jerzy Grotowski, sono servite e servono «ad attraversare le frontiere fra te e me». Nomi lontani di cui si è persa l’eco (la Duse, Tommaso Salvini, la Andreini), fratture epocali provocate dal teatro (il Sessantotto dell’Orlando furioso e di Luca Ronconi a Spoleto), ma anche le divine di oggi o appena di ieri (per esempio Franca Valeri e Mariangela Melato), e soprattutto “loro”: Totò e Peppino, le presenze più clamorose della scena novecentesca, i fenomeni più autenticamente popolari di un’arte antica, affamata, plebea e così intimamente nostra. Entrare nel loro mistero d’attore è come cercare il punto terribile nel quale il tragico della vita sprofonda nella risata e lì si redime.

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