C'era una volta il cinema. I miei film, la mia vita (La cultura Vol. 1204)
- Autore
- Sergio Leone
- Editore
- Il Saggiatore
- Pubblicazione
- 22/11/2018
- Categorie
Due occhi di ghiaccio, un poncho sulle spalle, il mozzicone di un sigaro stretto nel ghigno da pistolero.
uel sigaro appartiene a un uomo troppo svelto a sparare, un uomo senza nome la cui mira non conosce perdono. Ad annunciarlo, mentre si avvicina al galoppo al villaggio di San Miguel, è un fischio malinconico che sembra provenire dalla gola del tempo, dai decenni sepolti nella polvere rossastra del West.
Quell’uomo spietato è l’eroe di una nuova epica, fatta di sangue e piombo, di carne, cavalli e dinamite. È la Trilogia del dollaro, canto per fucile e macchina da presa, odissea di cacciatori di taglie che ha riscritto il genere western con la lingua di Kurosawa e Céline: film costruiti con gesti ieratici, con tempi dilatati pronti a esplodere in parossismi di violenza, con un ordito di sguardi interminabili, spari improvvisi, dialoghi scarnifi cati le cui battute si dischiudono in formidabili aforismi. Il regista si chiama Sergio Leone.
C’era una volta il cinema – frutto di quindici anni di dialogo ininterrotto con Noël Simsolo tra Parigi, Cannes e Roma – è il testo cui Leone ha affi dato il racconto della propria vita e di tutti i film che ha girato. I fotogrammi dei suoi ricordi portano impressi il cappello di Clint Eastwood e la barba mal rasata di Gian Maria Volonté, le melodie di Ennio Morricone, lo sguardo di Claudia Cardinale e il sorriso offuscato di Robert De Niro, gli incontri con Pier Paolo Pasolini, Klaus Kinski e Orson Welles.
Leggere questo memoir-intervista, finora inedito in Italia, è come ritrovare in una vecchia cassetta una voce che si credeva smarrita. Una voce acuta, divertita, ferocemente anticonvenzionale, che fra un aneddoto di vita sul set e una riflessione sul cinema finisce per rivelare i segreti di un regista che ha saputo trasformare gli anni del proibizionismo nel romanzo struggente delle amicizie tradite, delle vendette e degli amori perduti. E che, nell’oblio di una fumeria d’oppio come sulle carrozze di un treno a vapore, ha dipinto l’immagine del tempo mentre fugge via.
uel sigaro appartiene a un uomo troppo svelto a sparare, un uomo senza nome la cui mira non conosce perdono. Ad annunciarlo, mentre si avvicina al galoppo al villaggio di San Miguel, è un fischio malinconico che sembra provenire dalla gola del tempo, dai decenni sepolti nella polvere rossastra del West.
Quell’uomo spietato è l’eroe di una nuova epica, fatta di sangue e piombo, di carne, cavalli e dinamite. È la Trilogia del dollaro, canto per fucile e macchina da presa, odissea di cacciatori di taglie che ha riscritto il genere western con la lingua di Kurosawa e Céline: film costruiti con gesti ieratici, con tempi dilatati pronti a esplodere in parossismi di violenza, con un ordito di sguardi interminabili, spari improvvisi, dialoghi scarnifi cati le cui battute si dischiudono in formidabili aforismi. Il regista si chiama Sergio Leone.
C’era una volta il cinema – frutto di quindici anni di dialogo ininterrotto con Noël Simsolo tra Parigi, Cannes e Roma – è il testo cui Leone ha affi dato il racconto della propria vita e di tutti i film che ha girato. I fotogrammi dei suoi ricordi portano impressi il cappello di Clint Eastwood e la barba mal rasata di Gian Maria Volonté, le melodie di Ennio Morricone, lo sguardo di Claudia Cardinale e il sorriso offuscato di Robert De Niro, gli incontri con Pier Paolo Pasolini, Klaus Kinski e Orson Welles.
Leggere questo memoir-intervista, finora inedito in Italia, è come ritrovare in una vecchia cassetta una voce che si credeva smarrita. Una voce acuta, divertita, ferocemente anticonvenzionale, che fra un aneddoto di vita sul set e una riflessione sul cinema finisce per rivelare i segreti di un regista che ha saputo trasformare gli anni del proibizionismo nel romanzo struggente delle amicizie tradite, delle vendette e degli amori perduti. E che, nell’oblio di una fumeria d’oppio come sulle carrozze di un treno a vapore, ha dipinto l’immagine del tempo mentre fugge via.
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