Ritratto di Stalin

“Nessun capo di Stato del nostro secolo ha ordinato tanti supplizi, massacrato con tanta perseveranza, in così gran numero, i suoi compagni di ieri, i suoi collaboratori, i suoi sostenitori, i suoi fratelli. Non uno, per quanto noi sappiamo, nemmeno lo stesso Hitler ha pronunciato una frase simile a quella di Stalin: ‘Scegliere la vittima, preparare minuziosamente il colpo, saziare una vendetta implacabile e poi andarsene a dormire… Non vi è niente di più dolce nel mondo’.

Il ritratto fisico di Stalin si conosce bene. Quella fronte bassa sotto una vigorosa capigliatura, quel viso piuttosto quadrato, carnoso, sul quale si stagliano dei grossi baffi, in cui gli occhi piccoli, privi di luce, danno una impressione di sicurezza testarda: niente di più. Egli ha la parola malsicura, l’eloquio monotono, un forte accento georgiano. Si è fatto un abito di una semplicità voluta, una tunica alla maniera militare, col collo montante, stivali… e questa maniera di vestire gli dà l’aspetto di un sottufficiale. Dopo la sua giovinezza, un insieme di inferiorità lo domina. Egli si sente sprovvisto di doti, inferiore a tutti gli uomini di rilievo che egli incontra e per il suo carattere ne è geloso, li invidia e li detesta perché quelli valgono più di lui. L’intrigo lo segue dai suoi primi passi, non si conosce una sua amicizia; ma con una perseveranza terribile egli ha mandato alla morte tutti coloro che aveva conosciuto da una quarantina di anni, seguíto, ascoltato, invidiato: i compagni della Siberia come quelli del Caucaso, i compagni delle persecuzioni come quelli del potere, tutti, tutti, gli oscuri come gli illustri. Egli ci appare dominato dall’odio del mediocre per tutti coloro che gli sono naturalmente superiori. E il motto di Trotsky ci ritorna alla memoria: ‘È la più grande mediocrità del nostro partito’. Questa frase pronunciata verso il 1925, il Georgiano non l’ha mai perdonata”.

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