Lettere
- Autore
- Seneca
- Pubblicazione
- 23/11/2019
- Categorie
Io concorro nel tuo parere, che tu ti debbi ascondere nell’ozio; ma voglio che tu lo facci anco per modo, che l’ozio resti ascoso. Et ancorchè tu sappi di far questo non per precetto de’ Stoici, ma ad imitazion loro; tu devi anco farlo per precetto, perchè il ritirarti del tutto lo potrai far quando vorrai. Ora ti verrà fatto facilmente, poichè non solemo mandar i tuoi pari in ogni governo, nè d’ogni tempo, nè senza proposito alcuno. Oltre di questo avendo noi assignato al sapiente una Republica degna di lui, che è il Mondo, non si potrà dir ch’ei sia fuor della Republica, ancorchè s’allontani da essa: e forse anco lasciando questo solo angolo, passa a molto maggiori e più ample cose, per le quali salito poi in cielo, conosce apertamente in quanto umil loco sia seduto, mentre egli ascendeva la sedia, o il tribunale. E di più ti dico, che quando il Sapiente con la meditazione s’adduce avanti gli occhi tutte le cose divine, et umane; allora è ch’egli opera più che possa fare. Ora torno a quel che avevo cominciato a persuaderti che tu facci, che il tuo ozio non sia conosciuto. E per ciò fare non accade che tu facci profession di filosofo: io voglio che tu battezzi questo tuo proposito con altro nome; e che tu dichi di ritirarti per infermità, o per stanchezza, o se vuoi anco chiamarla poltroneria. Il gloriarsi dell’ozio, è una pigra ambizione. Certi animali per non esser ritrovati, guastano le lor pedate intorno alla tana. Il medesimo tu devi fare: perchè facendo altrimente, non mancheranno chi ti perseguitino.
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