Memorie dalla Torre Blu
- Autore
- Leonora Christina Ulfeldt
- Editore
- Adelphi
- Pubblicazione
- 19/12/2019
- Categorie
Imprigionata per ventidue anni, dal 1663 al 1685, nella Torre Blu del Castello Reale di Copenaghen – sotto l’accusa di aver congiurato contro il re insieme a suo marito, il nobile Corfitz – Leonora Christina, figlia morganatica del re Cristiano IV di Danimarca, annotò clandestinamente le sue vicende, durante la prigionia, per istruirne i suoi figli. Ne è risultata una delle opere più enigmatiche e scabre di tutta la memorialistica – modernissima per l’asciuttezza del tono, per la prontezza nel cogliere il particolare, per l’invincibile ambiguità psicologica che la percorre. Scoperte e pubblicate soltanto nel 1869, ammirate da Rilke, Jacobsen e Andersen e oggi considerate un grande classico della letteratura danese, le «Memorie» di Leonora Christina vengono qui presentate per la prima volta in Italia.
Non già ricordando nella tranquillità vicende passate, dietro lo schermo del tempo, ma ancora costretta in mezzo agli spettri viventi di quel passato, al centro di un groviglio di odii che la obbligava a subire le macabre vessazioni della Torre Blu – dove questa donna regale conversava con carcerieri e infimi delinquenti, dove continuamente aguzzava le armi per difendersi da una turbinosa società di visitatori, inquisitori, ancelle e spie, dove il suo letto posava su un pavimento di escrementi incrostati –, così ci parla Leonora Christina, da un cupo palcoscenico che veniva a sostituire per lei, durante lunghi anni, quello delle corti e dei castelli d’Europa. «Giobbe donna» l’hanno definita molti critici, per il cumulo di sventure che essa sostiene, come anche per i continui richiami devozionali e il senso che essa ha di dover reggere a una «prova». Ma Leonora Christina può anche esser vista soprattutto come uno spirito lucido, eminentemente pragmatico, personaggio nel quale forse più che la fede può l’orgoglio, testardo e deciso a nulla rivelare del proprio segreto. Ciò che più impressiona il lettore di oggi e rende così straordinarie le memorie di Leonora è il suo sguardo impassibile, che registra gli eventi della sordida prigionia con diligenza da archivista, come nei grandi narratori – e poi l’attenzione, che ha una qualità quasi ferina, la volontà che non può neppure immaginarsi di cedere e continua inesorabile a osservare i mutamenti del circostante, anche ove da questi non sia più possibile aspettarsi salvezza.
Un folto e crudo mondo popola queste memorie e la cella della Torre Blu viene ad assorbire tensioni, vendette, intrighi come un’intera città. E quanto più Leonora è precisa nel descrivere, tanto più nasconde se stessa. Alla fine il suo mistero resta inviolato: le sue dichiarazioni di innocenza non bastano a convincerci dell’infondatezza dell’accusa e sempre più ci accorgiamo che le sue memorie si reggono tutte sulla occultazione dell’io, che ne diviene perciò tanto più forte e sfuggente. Ma intanto, su questo terreno di reticenze e segreti murati, tante storie, tanti particolari hanno assunto davanti ai nostri occhi quell’esistenza incancellabile che fa della Torre Blu uno dei luoghi memorabili della letteratura.
Non già ricordando nella tranquillità vicende passate, dietro lo schermo del tempo, ma ancora costretta in mezzo agli spettri viventi di quel passato, al centro di un groviglio di odii che la obbligava a subire le macabre vessazioni della Torre Blu – dove questa donna regale conversava con carcerieri e infimi delinquenti, dove continuamente aguzzava le armi per difendersi da una turbinosa società di visitatori, inquisitori, ancelle e spie, dove il suo letto posava su un pavimento di escrementi incrostati –, così ci parla Leonora Christina, da un cupo palcoscenico che veniva a sostituire per lei, durante lunghi anni, quello delle corti e dei castelli d’Europa. «Giobbe donna» l’hanno definita molti critici, per il cumulo di sventure che essa sostiene, come anche per i continui richiami devozionali e il senso che essa ha di dover reggere a una «prova». Ma Leonora Christina può anche esser vista soprattutto come uno spirito lucido, eminentemente pragmatico, personaggio nel quale forse più che la fede può l’orgoglio, testardo e deciso a nulla rivelare del proprio segreto. Ciò che più impressiona il lettore di oggi e rende così straordinarie le memorie di Leonora è il suo sguardo impassibile, che registra gli eventi della sordida prigionia con diligenza da archivista, come nei grandi narratori – e poi l’attenzione, che ha una qualità quasi ferina, la volontà che non può neppure immaginarsi di cedere e continua inesorabile a osservare i mutamenti del circostante, anche ove da questi non sia più possibile aspettarsi salvezza.
Un folto e crudo mondo popola queste memorie e la cella della Torre Blu viene ad assorbire tensioni, vendette, intrighi come un’intera città. E quanto più Leonora è precisa nel descrivere, tanto più nasconde se stessa. Alla fine il suo mistero resta inviolato: le sue dichiarazioni di innocenza non bastano a convincerci dell’infondatezza dell’accusa e sempre più ci accorgiamo che le sue memorie si reggono tutte sulla occultazione dell’io, che ne diviene perciò tanto più forte e sfuggente. Ma intanto, su questo terreno di reticenze e segreti murati, tante storie, tanti particolari hanno assunto davanti ai nostri occhi quell’esistenza incancellabile che fa della Torre Blu uno dei luoghi memorabili della letteratura.
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