Volevo vedere l'Africa. Swing, cannoni, cammelli e musette. Storia di un giovane, oltre il mare di Alboràn
- Autore
- Teresio Asola
- Pubblicazione
- 15/10/2010
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Recensioni e articoli
Recensioni MondadoriStore su "Volevo vedere l'Africa" di Teresio Asola — Teresio Asola
L'ho letto d'un fiato. Non aggiungerei altro, se non consigliarlo e regalarlo (come ho fatto io). Grazie. Benedetto Marchi ... A me è stato regalato, "Volevo vedere l'Africa". Subito ho pensato: "Il solito libro di guerra. Il solito reduce che scrive": anche perché la copertina fa risaltare il militare mentre il titolo (che si perde sullo sfondo) evoca subito al contrario una dimensione più fantastica. Quel "volevo vedere", antitetico allo spirito guerresco che implicherebbe tutto tranne che osservare, e l'Africa, poi. Fin dalle prime pagine si rivela il vero spirito del libro: le confessioni, avventurose e appassionate, di un vecchio langarolo che è stato (ed è ancora) giovane in uno dei periodi più oscuri della nostra storia. Rimarrà deluso (lo dice anche l'autore in premessa) chi cerca il spasmodico dettaglio, la data e l'ora della battaglia, i nomi, i caduti, i generali, l'inappellabile riscontro storiografico. Questo non è un libro di generali e non è un libro di guerra, anche se la cornice è quella. E' un romanzo, un compagno. Un libro vero su un uomo vero. Che avrei voluto conoscere sul serio, dopo averlo conosciuto su queste pagine. Un amico. Grazie ad Araba Fenice ho un amico in più: Primo, il protagonista di "Volevo vedere l'Africa". I libri servono anche a questo: rendere manifeste piccole storie che diventano grandi, perché ci si identifica; arricchire la propria vita con un amico vero e con una storia che valga la pena di serbare nel cuore. Come questa. L'ho comprato e regalato a miia volta ... "Volevo vedere l'Africa", di Teresio Asola, è senza dubbio un bel romanzo storico, che attraversa la nostra storia nazionale, dal periodo drammatico della Seconda guerra mondiale fino agli anni immediatamente successivi. Facendoci seguire le peripezie del giovane protagonista, al tempo stesso accompagna le trasformazioni dell'Italia nel passaggio cruciale degli anni Quaranta. Ma non è solo un riuscito romanzo storico e d'avventura, è una storia vera, anche se necessariamente romanzata e innervata di fiction nei punti salienti, sia pur sempre inserita in una cornice storica attendibile e puntuale. Stupisce (ma solo fino a un certo punto) che l'autore non sia uno scrittore professionista né persona che si procura da vivere con la scrittura. Un libro strutturato e organico, costruito con meticolosità, frutto di un impegno morale che ha visto l'autore accompagnare il padre negli anni della vecchiaia e della malattia, facendosi carico dei suoi ricordi di guerra Leggi tutta la recensione
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Recensioni Amazon — Teresio Asola
Storia reale di eventi bellici in Africa, affascinante, lettura scorrevole e avvincente senza episodi di eroismo fanatico, ma raccontati con lo spirito di avventura di un giovane che spinto dal desiderio di vedere l'Africa si arruola volontario. Per me è stata la conferma dei racconti sentiti in gioventù dai reduci di quella assurda guerra che avrebbe dovuto dare all'Italia il suo impero. ... Mi è piaciuto perchè rispecchia la realtà di allora lo consiglio sopratutto agli amanti del vero. ... Leggi tutta la recensione
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Volevo vedere l'Africa — Teresio Asola
È un volume elegante nella grafica ed estremamente agile nella lettura, nonostante la ben visibile corposità. Ricorda, altresì, l’accuratezza dei testi di una volta che venivano sfogliati con mano esile e delicata per non arrecar loro danno alcuno. L’autore si chiama Teresio Asola, classe 1960 in quel di Alba (tra merci, venditori, contadini, nonni, nomi, cognomi e memorie ormai perse nelle nebbie medievali), laureato in lingue e manager aziendale. Nonché padre di un’ottima famiglia, la sua, in quel di Torino. Ma più di tutti ed importante assai, scrittore di bella penna e foglio, narratore della miglior tradizione italiana ed italica che nulla ha da invidiare alle letterature degli altri mondi ma da far loro, invece ed assolutamente, invidia. Il titolo, Volevo vedere l’Africa, prelude ed introduce al viaggio “vero” di azioni e parole, con un protagonista “reale” di respiri e gesti ma ed anche “viandante” in un narrativo di norma ir-reale e di ampio respiro. “Swing, cannoni, cammelli e musette. Storia di un giovane, oltre il mare di Alboràn” che posson bastare al lettore ma che non sono sufficienti a rendere la fluidità della lettura e la profondità di sentimento del protagonista che è, al contempo, uno e più di uno ma anche nessuno ed insieme tutti. Eternamente ascrivibile al tempo im-perituro della scrittura che passa, resta e corre già nell’altrove di un tempo indefinito nella sua indefinibilità. Ed è così che il protagonista, Primo, ci rivolge da una foto sbiadita d’oro luccicante uno sguardo dai ritmi d’essenza impenetrabile. Di quell’essenza di colui che sa perché ha visto, sentito, respirato, toccato… Nei ritmi del tempo e delle epoche…. Un romanzo del romanzo e nel romanzo che merita di essere letto perché “semplicemente” di bella scrittura e narrazione. Il che non è poco, assolutamente. Leggi tutta la recensione
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Volevo vedere l'Africa di Teresio Asola — Teresio Asola
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Prima rassegna stampa su Volevo vedere l'Africa — Teresio Asola
La Stampa, rubrica di Mario Calabresi "I migliori libri della nostra vita", marzo 2014: "(...) è la storia di una vita. Come dovrebbero esserlo i migliori romanzi. (...) Una di quelle rare storie che ti fanno sorridere e soffrire (...)". Eleonora Baraggia, VIAGGIARE, aprile 2012: (...) Romanzo di formazione e saga familiare, sullo sfondo di vicende che hanno segnato profondamente il destino della nostra nazione. Beatrice Lavinia Melis, Nuova Società, 29/10/2011: (...) Un romanzo corposo e nel contempo snello alla lettura. Costruito con la meticolosità fenogliana eppure scorrevole, divertente e con sorprendenti cambi di marcia. Un'opera da leggere, consigliare e regalare. Enzo Armando, LA STAMPA, 13/10/2011: «L'epopea di un giovane delle Langhe tra Astigiano e Albese, sopravvissuto come soldato dell'esercito italiano, un'odissea durata sei anni (...). Teresio Asola offre il bellissimo ritratto di Primo in "Volevo vedere l'Africa" (...).» Giorgio Ballario, LA STAMPA, 12/6/2011: «Se davvero scrivere è viaggiare senza la seccatura dei bagagli, come diceva Emilio Salgari, allora si potrebbe aggiungere che leggere un bel romanzo storico è come assistere a una lezione universitaria senza il fastidio di dover poi studiare. E Volevo vedere l’Africa, di Teresio Asola, è senza dubbio un bel romanzo storico, che attraversa la nostra storia nazionale, dal periodo drammatico della Seconda guerra mondiale fino agli anni immediatamente successivi. E facendoci seguire le peripezie del giovane protagonista, al tempo stesso accompagna le trasformazioni dell’Italia nel passaggio cruciale degli anni Quaranta. Ma (…) non è solo un riuscito romanzo storico e d’avventura. (…) Una storia vera (…) anche se necessariamente romanzata e innervata di fiction nei punti salienti, sia pur sempre inserita in una cornice storica attendibile e puntuale. Stupisce (ma solo fino a un certo punto) che l’autore non sia uno scrittore professionista né persona che si procura da vivere con la scrittura (…). Nei giorni scorsi l’opera di Teresio Asola, a conferma che talvolta si può essere “profeti in patria”, ha vinto a Sinio, nelle Langhe, il Premio Arvangia “Reis encreuse” 2011: “Un libro strutturato e organico – è stato definito – costruito con meticolosità fenogliana, frutto di un impegno morale che ha visto l’autore accompagnare il padre negli anni della vecchiaia e della malattia, facendosi carico dei suoi ricordi di guerra”» Giuria Premio Reis Encreuse, 27/5/2011: «(…) a giudizio pressoché unanime, i due terzi dei votanti, 25 su 34, hanno indicato nel volume di Teresio Asola “Volevo vedere l’Africa”, edizioni Araba Fenice di Boves, il libro più strutturato ed organico, costruito con meticolosità fenogliana, frutto di un impegno morale che ha visto l’autore accompagnare il padre Carlo, nel libro il protagonista Primo, negli anni della vecchiaia e della malattia, facendosi carico dei suoi ricordi di guerra. La corposa opera prima di Teresio Asola è in realtà il vero vincitore dell’edizione 2011 del Premio Letterario Reis ëncreuse, soprattutto per il talento narrativo di cui l’autore da prova raccontando con passione ed emozione la vita avventurosa del padre. L’aver lasciato la ribalta ad un’iniziativa editoriale che fa da traino ad un progetto di solidarietà è un merito di non poco conto che conferma la statura umana del narratore albese alle prese con le proprie radici familiari. (…)» Massimo Novelli, REPUBBLICA, 6/5/2011: «È storia vera che diventa romanzo questo corposo “Volevo vedere l’ Africa” dell’ albese Teresio Asola, dirigente aziendale, che dimostra di avere un talento non comune. Raccontando con passione e sapienza la vita avventurosa del padre, soldato del regio esercito prima prigioniero degli alleati in Africa e poi al loro seguito in Francia, restituisce speranze, illusioni e disincanti di una generazione, tra echi fenogliani di Over The Rainbow e fotogrammi bogartiani di Casablanca» Claudio Ozella, IL NOSTRO TEMPO, 3/4/2011: «(...) Asola è riuscito a riunire in una sintesi accattivante e scorrevole gli elementi migliori della saga familiare e del romanzo di formazione, sorretti da una scrittura appassionante che conduce il lettore dalla Langa all’Africa, dalle coste inglesi ai bassifondi di Marsiglia, investendolo con una ventata di colori, profumi, suoni, sentimenti, emozioni che, proprio grazie alla loro eterogeneità, compongono una struggente poesia-racconto che colpisce il cuore e la mente del lettore.» Susanna Dolci, CONTROLUCE, 4/4/2011: (…) È un volume elegante nella grafica ed estremamente agile nella lettura, nonostante la ben visibile corposità. Ricorda, altresì, l’accuratezza dei testi di una volta che venivano sfogliati con mano esile e delicata per non arrecar loro danno alcuno. (…).» Donato Bosca, supplemento letterario alla rivista LANGHE – cultura e territorio, Non sono paesi per libri, ottobre 2009: «Dobbiamo subito confessare che la scrittura di Teresio Asola cattura il lettore. E’ scorrevole, divertente, e possiede i cambi di marcia che solo le persone vocate a raccontare si possono permettere. Teresio Asola ci è stato segnalato da Danilo Manera e non avevamo dubbi sulle potenzialità della sua esperienza narrativa. (…) Volevo vedere l’Africa è un libro con il cambio automatico di serie, che si legge senza bisogno di spingere o di trovare strade in discesa.» Franco Piccinelli, nota informale novembre 2009: «(…) piacevole narrazione, pregevole per la chiarezza, il senso del coinvolgimento tanto dell’io narrante quanto del lettore. Volevo vedere l’Africa ha un ottimo impianto procedurale, oltre tutto nella capacità di accostare la Storia alla Letteratura, scambievolmente come ci insegnavano nel vecchio, purtroppo ucciso liceo. Certo, per chi conosce il protagonista del romanzo e il suo autore, è facile rintracciare, reperire, quasi anagrammare, alcuni episodi minori in quanto paesani, li ricordo pur io (…). Leggi tutta la recensione
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LA STAMPA - Dalle Langhe a El Alamein — Teresio Asola
Dalle Langhe a El Alamein Leggi tutta la recensione
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Videopresentazione — Teresio Asola
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DENTRO LA NOTIZIA - Dalle Langhe all'Africa — Teresio Asola
Dalle Langhe all'Africa sull'onda dei ricordi. Leggi tutta la recensione
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TELEGRANDA - Intervista a Teresio Asola su "Volevo vedere l'Africa" - Seconda parte — Teresio Asola
Intervista a Teresio Asola su "Volevo vedere l'Africa" - Seconda parte Leggi tutta la recensione
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TELEGRANDA - Intervista a Teresio Asola su "Volevo vedere l'Africa" - Prima parte — Teresio Asola
Intervista a Teresio Asola su "Volevo vedere l'Africa" - Prima parte Leggi tutta la recensione
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LA STAMPA - Quel soldato era mio padre — Teresio Asola
Quel soldato era mio padre Leggi tutta la recensione
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LA STAMPA Le avventure di un giovane dalla Langa a El Alamein - Ezio Armando — Teresio Asola
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LA STAMPA I migliori libri della nostra vita - Una di quelle rare storie che ti fanno sorridere e soffrire (Mario Calabresi) — Teresio Asola
Ho riletto Volevo vedere l’Africa di Teresio Asola comprato tre anni fa. Il protagonista, bambino di Langa che diventa soldato e poi padre che racconta al figlio, l’ho conosciuto nell’intimo, grazie al romanzo. Un bel libro. Non perché sia pietra miliare d’innovazione stilistica (che non m’interessa), ma per l’autenticità dei personaggi e degli avvenimenti, per l’onestà con cui essi vengono tratteggiati e per l’espressione curata. Fa piacere leggere in italiano. Alle ultime pagine ho rallentato, centellinato le parole perché avrei voluto che il libro non finisse. Mi ero affezionata a Primo, ragazzo langarolo partito volontario per vedere l’Africa e tornato a casa in divisa americana dopo lo sbarco in Normandia. Mi sono innamorata? Forse. Sarà che metà del mio sangue scorre nel basso Piemonte dove è nato il protagonista, e che io ho avuto un padre così. Mi ha lasciato appetiti, dentro. Voglio sapere che cosa gli è capitato, dopo. Come un amico. Come se Alba fosse la mia città ligure e Poggiantìco il quartiere dove sono nata o il villaggio dei miei nonni nell’entroterra. Spero che l’autore stia pensando a un prosieguo. E che lo si legga nelle scuole, perché i ragazzi capiscano come i coetanei in un passato poco remoto vivevano i loro anni migliori. È la storia di una vita. Come dovrebbero esserlo i migliori romanzi. Del resto, che cos’è più fantastico, romanzesco e avventuroso, dei passi di una vita, se calcati intensamente? E che cosa più doveroso per uno scrittore, e piacevole, che provare a seguirne le tracce? Pur femmina, io mi sono immedesimata nel protagonista, commossa e divertita (e dire che la copertina me l’aveva fatto pensare un memoriale di guerra). Passato indenne il prologo un po’ scosceso ma che ha il suo perché, ho percorso con questo moderno Barry Lyndon le strade del mondo, sofferto e amato con lui, combattuto e sorriso. Io stessa sono diventata protagonista, come mi era successo con Le Ceneri di Angela di Frank McCourt; le atmosfere dolci e lo spirito giocoso li avevo vissuti guardando Mediterraneo; i fotogrammi di un’esistenza intera, i rimandi alla fanciullezza, il racconto del padre, nel Nuovo Cinema Paradiso; lo spirito di fratellanza, l’uomo nel nemico, in Joyeux Noël. Cito i film perché ho letto il libro come guardando un film, immaginando me stessa sulle pagine. Volevo vedere l’Africa è storia vera. Partito volontario a 18 anni per vedere l’Africa, Primo torna a casa più di 4 anni dopo in divisa americana, carico di esperienze maturate fra Africa, Inghilterra e Francia. Ma riparte sui sentieri dei contrabbandieri, spaesato come Ettore della Paga del Sabato, per lavorare in Francia. In quei sei anni il ragazzo si fa uomo, sempre in bilico fra ragionevolezza ed eroismo. Decenni dopo, incontra un male simile alle battaglie di Tunisia e alla prigionia. Primo, vecchio padre conscio di morire presto, narra gli anni giovanili al figlio. E questi, che vede il suo eroe smagrire, reggersi malamente sul bastone e parlare a fatica, lo fa ringiovanire facendogli rivivere i ricordi: i giochi in riva al Tinella, il volo in Libia, il cammello di Gioda, i datteri di El Azizia, il tè nella casa berbera a Foum Tataouine, le battaglie del Mareth e di Enfidaville, la prigionia, la fuga a piedi nel deserto algerino, le strade di Casablanca, l’amore con la ragazza andalusa, lo sbarco in Normandia, Parigi, Marsiglia e le Fiandre, gli espatri clandestini nella Francia postbellica. Del soldato, emerge l’uomo. Della guerra, la dimensione adolescenziale, persino di gioco, condita da riverberi di Langa che, ad esempio, fanno della nevicata di Algeri un richiamo alle veglie nella stalla con il cugino contastorie. Il lettore diventa viaggiatore dentro piccoli episodi, eccezionali perché normali e antieroici, che dall’infanzia alla maturità legano armoniosamente una grande storia... Senza rivelare il finale diciamo che c’è speranza, un altrove cui dirigersi, un rifugio da costruire, una nuova frontiera da raggiungere, si profilano nuovi orizzonti cui tendere e da cui magari tornare, come gli storni e le rondini. C’è un domani, oltre il mare di Alboràn. Come spero ci sia un domani per questa storia. Non dico la buona sorte di vendita (mica è un libro di cucina), ma un seguito alla vicenda o una riduzione cinematografica. Leggi tutta la recensione
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LA REPUBBLICA - L'Africa paterna dell'albese Asola (Massimo Novelli) — Teresio Asola
«È storia vera che diventa romanzo questo corposo “Volevo vedere l’ Africa” dell’ albese Teresio Asola, dirigente aziendale, che dimostra di avere un talento non comune. Raccontando con passione e sapienza la vita avventurosa del padre, soldato del regio esercito prima prigioniero degli alleati in Africa e poi al loro seguito in Francia, restituisce speranze, illusioni e disincanti di una generazione, tra echi fenogliani di Over The Rainbow e fotogrammi bogartiani di Casablanca» Leggi tutta la recensione
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Il Nostro Tempo Dalla Langa alla guerra (Ozella) — Teresio Asola
«(…) Asola è riuscito a riunire in una sintesi accattivante e scorrevole gli elementi migliori della saga familiare e del romanzo di formazione, sorretti da una scrittura appassionante che conduce il lettore dalla Langa all’Africa, dalle coste inglesi ai bassifondi di Marsiglia, investendolo con una ventata di colori, profumi, suoni, sentimenti, emozioni che, proprio grazie alla loro eterogeneità, compongono una struggente poesia-racconto che colpisce il cuore e la mente del lettore.» Leggi tutta la recensione
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LA STAMPA Il viaggio di Primo — Teresio Asola
Il viaggio di Primo Leggi tutta la recensione
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Vincitore l'albese Teresio Asola — Teresio Asola
Asola vince il Premio letterario Reis Encreuse Leggi tutta la recensione
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LA STAMPA Teresio Asola romanziere di guerra (Giorgio Ballario) — Teresio Asola
Giorgio Ballario, LA STAMPA, 12/6/2011: «Se davvero scrivere è viaggiare senza la seccatura dei bagagli, come diceva Emilio Salgari, allora si potrebbe aggiungere che leggere un bel romanzo storico è come assistere a una lezione universitaria senza il fastidio di dover poi studiare. E “Volevo vedere l’Africa”, di Teresio Asola, è senza dubbio un bel romanzo storico, che attraversa la nostra storia nazionale, dal periodo drammatico della Seconda guerra mondiale fino agli anni immediatamente successivi. E facendoci seguire le peripezie del giovane protagonista, al tempo stesso accompagna le trasformazioni dell’Italia nel passaggio cruciale degli anni Quaranta. Ma (…) non è solo un riuscito romanzo storico e d’avventura. (…) Una storia vera (…) anche se necessariamente romanzata e innervata di fiction nei punti salienti, sia pur sempre inserita in una cornice storica attendibile e puntuale. Stupisce (ma solo fino a un certo punto) che l’autore non sia uno scrittore professionista né persona che si procura da vivere con la scrittura (…). Nei giorni scorsi l’opera di Teresio Asola, a conferma che talvolta si può essere “profeti in patria”, ha vinto a Sinio, nelle Langhe, il Premio Arvangia “Reis encreuse” 2011: “Un libro strutturato e organico – è stato definito – costruito con meticolosità fenogliana, frutto di un impegno morale che ha visto l’autore accompagnare il padre negli anni della vecchiaia e della malattia, facendosi carico dei suoi ricordi di guerra”» Leggi tutta la recensione
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"Volevo vedere l'Africa" vincitore del Premio Reis Encreuse — Teresio Asola
"Volevo vedere l'Africa" vincitore del Premio Reis Encreuse Leggi tutta la recensione
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Commento dell'autore
A Poggiantico/Neive, nella vigna attigua alla ferrovia, Primo, roso dalle metastasi e ormai conscio di morire presto, racconta a Max la storia di quegli anni formidabili e delle sue radici langarole, della gioventù, degli amori e delle marachelle infantili. Max prende appunti e tace. Tace perché c’è poco da dire. C’è solo da ascoltare e da scrivere, al cospetto della grandezza dell’affresco – talvolta un po’ slavato nei colori – messogli a disposizione dal padre, con la gratuità e il trasporto che solo i padri sanno avere verso i figli, pur sapendo che Max ne avrebbe tratto un libro, lui così riservato. Due anni fa chiesi a mio padre perché non scrivesse un libro su quelle storie di paese, di passione, di guerra e di avventure di cui avevamo sentito parlare fin da bambini. «Sì, scrivere, alla mia età», mi rispose, «un libro poi» soggiunse schermendosi in un sorriso di modestia, «se vuoi ti dò un po’ di materiale da leggere, chissà che non riesca tu a mettere insieme quattro pagine per i tuoi figli». Da anni pensavo di scrivere un libro, avevo buttato giù delle traduzioni, qualche embrione di storia e avevo scritto già un centinaio di pagine di un romanzo, e allora quale migliore occasione di questa regalatami dal papà, con tanto di documenti veri, e di quelle sottili sensazioni e sfumature, che solo chi in prima persona ha patito, sofferto, vissuto, amato, può trasferire? Quando gli annunciai che ne avrei scritto un libro da pubblicare si strinse nelle spalle, mi sorrise e disse, la voce tremula, che magari un compaesano o un vecchio compagno d’arma o di prigionia lo avrebbe riconosciuto, nonostante lo pseudonimo. Era il suo sì, un po’ indiretto, ma era sì. Mia madre lo guardò intenerita e non disse nulla. Sorrise anche lei e andò ad asciugare i piatti. Lui si mise a parlare, quel giorno. E ancora a parlare, ininterrottamente, sempre più fluidamente, d’improvviso ringiovanito dallo sforzo di ricordare. Pochi giorni dopo, il precipitare della sua malattia m’indusse a chiedergli la documentazione promessami (il manoscritto delle sue poche pagine di diario scritte in prigionia a Djelfa fino a esaurimento dell’inchiostro e della carta, due foto, due libretti in distribuzione alle forze alleate prima dello sbarco in Normandia) e a sottoporlo ad estenuanti interviste, quasi ogni sabato nella sua casa di Alba davanti alla stazione, fino all’ultimo sabato. Era stato il mio eroe delle storie raccontatemi fin da bambino, il mio capitano (che poi a dire il vero era soldato semplice, puntatore e così poco tagliato per la guerra da aver venduto pezzo a pezzo la divisa italiana in Algeria e da aver logorato quella americana nella vigna di Neive). Ma il mio eroe smagriva, si reggeva malamente sul bastone e parlava sempre più a fatica; non vedevo più il Primo dei racconti in quella pelle raggrinzita, nel volto consumato dalla malattia. Il Primo del tiro al cammello, dei giochi in riva al Tinella, delle battaglia del Mareth e di Enfideville, della fuga a piedi dai legionari nel deserto algerino; il Primo di Casablanca, della ragazza andalusa a Orano, delle avventure in divisa americana a Marsiglia, in Normandia e per le Fiandre, il Primo testimone dei grandi eventi della seconda guerra mondiale, sbarco in Normandia compreso. Il Primo degli espatri clandestini nella Francia postbellica. Il Primo così avventuroso, così diverso dall’irreprensibile dirigente comunale degli anni a venire, se ne stava andando. Anche per questo ho scritto questo libro. Per restituire a mio padre le sembianze e la parola dell’eroico – ma equilibrato come solo gli eroi langhetti sanno essere – soldato Primo. Per farlo ringiovanire, per farlo vivere. Primo per tutta la vita, prima della mia richiesta a pochi mesi dalla morte, ha sempre ripetuto di non voler più parlare delle battaglie né di voler più vedere quei posti, lui così affascinato dai luoghi geografici. Partito volontario, non conservò tuttavia uno straccio di divisa, né italiana né americana, né ritirò mai i nastrini delle Campagne. Oltre al prezioso diario di Djelfa, ripiegato religiosamente in una busta, soltanto la piastrina di riconoscimento americana, si tenne, e una medaglia, che mi fece vedere solo un anno prima di morire. Mi disse sempre, il protagonista, che non esiste miglior pacifista di chi abbia vissuto il dolore della fuga, della sconfitta, del dolore di stare in trincea con un fucile in mano. Lo scorso dicembre alla presentazione dell’ultimo libro di Donato Bosca a Mango un vecchio partigiano – Negrito, compaesano del protagonista del mio libro – spiegò come i nostri partigiani non volessero la guerra. E Primo era così. Primo partì volontario perché “voleva vedere l’Africa”, quell’Africa che da bambino era la mappa dell’Abissinia con le bandierine, mangiata dai maialini saliti alla sua camera-granaio dopo aver divorato il presepino confezionato in pasta di pane. Si snoda così la storia di uno del popolo, di un ragazzo sveglio del vostro villaggio che casualmente è un paese che tutti voi conoscete, ma può essere benissimo un ragazzo qualunque di un paese di qualunque parte del mondo, un ragazzo con le sue incertezze, i suoi amori, la voglia di crescere, di imparare, di comprendere, di fare, di non arrendersi, di sopravvivere, di non essere eroe a tutti i costi, di trovare un proprio equilibrio e un posto nel mondo. Un ragazzo con la voglia di scoprire il mondo portandosi dietro i valori e le sensazioni dell’universo di Langa. Un ragazzo che, spaesato al ritorno ad Alba, per completare la propria maturazione riparte clandestino per la Francia sui sentieri dei passeurs. Un pellegrino sognatore a spasso per il mondo vasto ma con i piedi piantati per terra, tuffati profondi nella nostra Langa. Le rondini partono, devono partire, ma poi ritornano, e Primo, tornato dopo sette anni di avventure, qui voleva rimanere e rimase.