Personcine

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Non bambine ma personcine.

Bellissimo questo titolo perché racchiude l’essenza dei racconti che raccoglie. Scrive in un racconto la Messina che “le virtù messe in pratica fin da piccoli, diventano altrettante abitudini dello spirito” ed è questa l’anima delle novelle, dove conosciamo tante bambine con poveri mezzi, che cercano di diventare delle belle persone, ma sono già personcine ossia racchiudono il seme di ciò che germoglierà nella vita adulta. Non riusciamo a guardarle come bambine, ma come delle piccole donne alle prese con una vita difficile che le costringe a crescere bruciando le tappe, che fa conoscere loro anzitempo il lavoro, che le distrae dalla scuola, che le mette presto davanti al sacrificio, alla fatica, alla difficoltà di appartenere ad una classe sociale povera.



La Messina ha sempre un occhio attento alle donne, che certamente non se la passavano bene, piegate dal lavoro, costrette a mandare avanti le famiglie da sole perché spesso i mariti erano in guerra, scoraggiate se volevano studiare o ambire a qualcosa di più o di diverso da un matrimonio magari combinato. E quando scrive queste novelle nel 1921, la Messina è già uscita dalla sua Sicilia quindi ci regala un quadro più generale della situazione italiana, spingendosi alle Marche e alla Toscana.

Le novelle ci dicono di momenti difficili, dicono della privazione subita, perché sullo sfondo c’è la I Guerra Mondiale che separa i padri dai figli, i mariti dalle mogli e costringe ciascuno ad arrangiarsi come può e a campare come sa.

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