La casa nel vicolo
- Autore
- Maria Messina
- Editore
- Vecchie Letture
- Pubblicazione
- 22/01/2015
- Categorie
- Testo originale integrale del 1921
Nella casa silenziosa che si affaccia su un vicolo "fondo e cupo come un pozzo vuoto", Maria Messina per un lungo arco di tempo segue la squallida esistenza di due sorelle, che si consuma nella mortificazione della loro personalità e nell’asservimento a Don Lucio, marito di Antonietta ("povera cosa senza volontà") e cognato di Nicolina ("già vecchia senza aver vissuto la sua parte di vita"). La forza e la volontà di questo sovrano incontrastato di una piccola comunità familiare siciliana, gravano sulle cose e sulle anime silenziosamente. Egli considera la famiglia una proprietà da governare secondo le sue regole. Tutto è metodicamente stabilito, tutto è preveduto in un rituale assurdo, predisposto per la sua tranquillità, sfruttando la devozione della moglie "dal temperamento docile e mansueto, fatto per essere plasmato come l’argilla fresca", ma anche la docilità della cognata. Ambedue, pur vivendo infelicemente, riconoscono per ancestrale accettazione la superiorità del maschio e passano i loro giorni nell’aria chiusa della Casa nel vicolo, avvolta da un profondo senso di mistero e di tristezza. Nicolina, la cognata, subirà senza reagire la seduzione di Don Lucio, ma la tenerezza iniziale ben presto si trasformerà in "orrore e ribrezzo" e le resteranno i pensieri amari e un "nodo di lacrime che non ci riesce di piangere".
La relazione incestuosa tra Don Lucio e la cognata "sposa senza anello e senza sposo" si iscrive come un elemento ineludibile nella logica del possesso del maschio cui tutto è dovuto. I rapporti tra le due sorelle, inizialmente di grande affetto, si deteriorano in modo irrimediabile fino all’odio aspro e cupo, vissuto come "castigo". Dopo la scoperta della tresca, Antonietta intima alla sorella di lasciare la casa. L’autodifesa di Nicolina è incentrata sulla sessualità femminile: "Tu mi hai rovinata. E ora mi vorresti scacciare? Non me ne andrò. Ho sciupato qui la mia giovinezza fresca e spensierata, come un velo che si butti su una siepe di spini.Tu mi hai messa in bocca al lupo. Intorpidita dall’egoismo mi lasciavi sola, giornate intere, per servirlo. E non pensavi ch’io ero una povera creatura fatta di carne, come te? Perché gli dovevi voler bene tu sola? Non potevo sentire allora, ora no! ora non più! ora non più! quel che sentivi tu? Anche più fortemente di te? Non ci pensavi? E se ci pensavi,non eri più snaturata della più snaturata femmina? Andarmene! Come un cencio logoro che non serve più! Come un limone spremuto che si butta in mezzo alla strada!" Le donne sono "due colpevoli chiuse nella stessa gabbia". E’ una famiglia incapace di comprendersi e di amarsi a vicenda; ognuno è chiuso in una sua gelida armatura di egoismo e ognuno considera l’altro suo nemico. L’unico ad osteggiare la tirannica autorità paterna è il figlio adolescente, Alessio, sensibile e sognatore il quale ha intuito "l’oscura colpa della zia" e soffre un grande disagio: "il suo piccolo cuore era gonfio di pietà verso la madre, di pietà verso la zia" e alla pietà sono improntate le ultime sue parole rivolte alla madre: "perdoni alla zia. Ha sofferto la sua parte". Per lui che fin dall’infanzia "pareva che camminasse sulla terra guardato dalla morte", l’unica forma di ribellione possibile sarà il suicidio. Le due sorelle "nemiche" risentiranno in modo terribile dell’accaduto, mentre Don Lucio senza alcun rimorso o rimpianto per il figlio considerato "un debole e un vinto" si preoccuperà che il fatto atroce non gli faccia perdere onorabilità agli occhi della gente.
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