La locanda di Monteloro: Dal lontano Medio Evo ai nostri giorni

Un'angelica ungherese con trascorsi da dimenticare, un giovane storico disoccupato, che fa il giardiniere, un medico in pensione e sua moglie, amanti della campagna, ma desiderosi di trasferirsi in città, un fantasma custode di un enigma, che dovrà risolversi e due spettri minacciosi. Il tutto in un contesto apparentemente sereno, ma testimone nel passato di drammatici accadimenti. Questi gli ingredienti di un racconto non privo di raffinato umorismo, ma che rivela una realtà parallela e misteriosa. Solo animi attenti e sensibili sapranno cogliere le sfumature di questa atmosfera capace di insinuare nella nostra mente il dubbio, che intorno a noi esista un mondo, che ogni tanto ci sfiora e solo gli animi più sensibili e attenti sapranno cogliere. Rispetto alla prima edizione questa si arricchisce di alcune annotazioni dedicate ai costumi e alle usanze medievali e di un capitolo, che approfondisce la parte magica del racconto con riferimenti alle lontane origini degli sciamani.

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Paolo Galli

La Locanda di MonteloroPaolo Galli

La locanda di Monteloro è ambientato fra Alto Medioevo e i nostri giorni “nella valle che divide i comuni di Fiesole e Pontassieve”, come scrive l’autore nell’introduzione (più che di una sinossi si tratta di una presentazione dell’autore, della sua vita e delle sue opere). Il medico fiorentino Arno, padrone dell’antica costruzione che ha abitato per anni svolgendo la sua professione nella campagna circostante, ha col passare degli anni ceduto al desiderio della moglie Maria Clotilde di trasferirsi almeno per l’inverno a Firenze, trasformando l’abitazione in una locanda. Qui presto sopraggiungono gli altri protagonisti della vicenda, cioè la giovane e bellissima Ildikò, originaria di Budapest, detta poi subito Ilde, che aiuterà a gestire la locanda, e Tonio – un giovane serio e volenteroso, “laureato in Storia e Filosofia, che frequenta come volontario la Facoltà di Storia” (p. 57) – che si occupa del giardino per mantenersi nella sua precaria situazione economica. Ildikò ha invece alle spalle un passato che vuole dimenticare, fatto di abbandoni e anche di prostituzione. Ben presto Arno e la moglie diventano per loro figure di riferimento affettuose e i quattro assumono le sembianze di una famiglia, cui toccherà misurarsi con vicende che travalicano i confini del tempo. Altri due giovani, infatti, molto tempo prima, sono stati protagonisti di una vicenda di amore e di morte nello stesso luogo, teatro della passione della bella Ildegarda, principessa longobarda, e del suo istruttore Costantinus: lei muore lasciando all’amato un gioiello raffigurante una croce, nel difendere il quale anche Costantinus perde la vita e con lui i due briganti che cercano di rubarglielo. I tre uomini sono rimasti come intrappolati nel luogo in cui hanno trovato morte violenta, cioè vicino alla stele di Ildegarda. Qui Ildikò entra in contatto con lo spirito di Costantinus, che vuole consegnare a lei la croce e poter finalmente trovare la pace. Una vicenda raccontata con grande spirito d’avventura, e, insieme, con una leggerezza tutta toscana nel linguaggio e nelle trovate (specialmente nei dialoghi) che aiuta il lettore a immergersi in questa lettura a metà fra racconto contemporaneo e leggenda medievale, fra il mondo dei vivi e quello dei morti, fra lettura per adulti e lettura per ragazzi. Il medico Arno è spassoso, pieno di grinta nelle azioni e nel pensiero, innamorato della vita, dei luoghi, della gente che ha curato. Verace nei rapporti e simpaticamente egocentrico, è sempre pronto ad ammirare le belle donne come ad affrontare di petto le situazioni. La moglie è per lui un’ ottima spalla, decisamente convincente nel saper prendere il marito dalla parte giusta e nel tenerlo al suo posto. Ildikò, versione contemporanea della principessa longobarda che l’ha preceduta, incanta per l’insistita descrizione della sua bellezza e forse per il torbido passato (che però convince un po’ meno). Tonio è il bravo giovane studioso, lavoratore, innamorato (di Ildikò, naturalmente). La lingua è un po’ ingenua, e non del tutto priva di passaggi che necessiterebbero un editing attento. Qualche volta l’autore è eccessivamente didascalico (alle pp. 95-96, per fare un esempio, quando il narratore spiega in dettaglio eventi storici noti, quali la caduta del muro di Berlino e gli effetti conseguenti a livello politico, economico, sociale). Ma nel complesso La locanda di Monteloro dà la sensazione di un divertimento dell’autore, che si è cimentato inventandosi una bella storia, con il gusto per il passato, per le donne, per il soprannaturale e per il carattere della sua terra toscana. Il Comitato di Lettura Leggi tutta la recensione

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