Venti giorni con Julian

Quando, nell’estate del 1851, la moglie di Hawthorne si recò in visita ai genitori, portando con sé le due bambine, lo scrittore si ritrovò per la prima volta solo con il figlio maschio, Julian, di cinque anni.
Se questi, instancabile chiacchierone, non mancò di esprimere, fin dal primo giorno, la soddisfazione di poter sfogare la propria viva¬cità, il padre si mostrò inizialmente insofferente per le continue do¬mande impostegli dal fanciullo.
Nel resoconto delle tre settimane così trascorse, Hawthorne imparò, poco a poco, ad abituarsi alle piccole incombenze che la quotidianità con un bambino imponeva, donandoci un incantevole spaccato di quei giorni, colmi di malinconia, ma anche di tenerezza.
Dall’esilarante e fallimentare tentativo di arricciargli i capelli, alle cene a base di ribes, perché null’altro vi è in casa di commestibile, dalle gite al lago, alle battaglie con i tassi barbassi lungo il tragitto, dalla scampagnata con l’amico Herman Melville, alla comune no¬stalgia per le ‘donne’ di casa… il tutto, passo dopo passo, porta lo scrittore a consolidare il rapporto con il figlio, tanto da arrivare a esprimere, in un moto di commozione, “Che Dio lo benedica! Benedica pure mia moglie per avermelo dato!”.
Nathaniel Hawthorne (1804 - 1864) è considerato, assieme ad Edgar Allan Poe, Herman Melville e Mark Twain, il più importante nar¬ratore statunitense dell’Ottocento. Tra le sue opere più famose, La lettera scarlatta e La casa dei sette abbaini.

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